Distruzione, terrore, disumanizzazione, fame.

4 parole con un potere enorme.

4 parole, 95.000 vittime innocenti indifese.

95.000 civili che subiscono l’odio, che patiscono gli interessi di chi decide, di chi non guarda in faccia nessuno.

 

 

Guerra, crisi e insicurezza politica e sociale: il Darfur oggi

Il conflitto nel Darfur è iniziato nel febbraio del 2003 provocando crisi e distruzione.

Arabi, pastori nomadi (Janjawid “demoni a cavallo”) da un lato, tribù di neri africani, sedentari, agricoltori o allevatori dall’altro. Sono le etnie che convivono nel Darfur con ideali e culture differenti, l’obiettivo che le accomuna è il desiderio di supremazia.

 

Dignità calpestata

La guerra nel Darfur è una terribile catastrofe che dal febbraio del 2003 tormenta la vita e la libertà di milioni di uomini, donne e soprattutto bambini.

Bambini che fin dalla tenera età hanno imparato a riconosce il frastuono dei bombardamenti, ragazzi che hanno conosciuto lo strazio della morte, l’angoscia della paura e l’oppressione lacerante dell’affanno.

Quel dolore che non rimane superficiale, ma che ti stringe dentro, che non si cicatrizza facilmente.

Milioni di bambini che hanno perso genitori, dimenticando cosa significhi essere protetti e al sicuro.

Un’umanità che ha perso ogni forma di dignità e di rispetto e a cui sono stati sottratti i diritti fondamentali: diritto di protesta, diritto alla salute, diritto alla verità, diritto alla giustizia, diritto alla vita, libertà di pensiero, parità di genere.

Stavo coltivando dentro di me una piccola piantina, peccato non sia nata dall’unione di due anime innamorate.

La guerra nel Darfur ha generato un clima di disumana violenza nei confronti della popolazione. È estremo l’impatto ed enormi i danni subiti da donne e adolescenti che ad oggi ci forniscono storie che ci fanno conoscere il quadro agghiacciante della realtà quotidiana con cui i poveri cittadini del Darfur convivono.

Nelle testimonianze delle donne non solo si evince il disprezzo dei soldati nei loro confronti, ma anche la volontà di eliminare la parte avversa attraverso lo stupro e le gravidanze forzate.

Non possiamo infatti non pensare che lo stupro di guerra non sia anche un altro modo per imporre la supremazia della propria etnia su quelle ritenute inferiori e non degne di riguardo.

Per troppo tempo gli stupri sono stati considerati come un fatto necessariamente legato alla guerra, messi in atto in gran numero e in modo sistematico e spesso taciuti, nonostante la convenzione di Ginevra del 1949 li abbia proibiti e dal 1996 siano stati classificati come crimini di guerra.

Il diritto internazionale può oggi avvalersi dell’art. 8 dello Statuto della corte penale internazionale che definisce esplicitamente “crimine di guerra” lo stupro commesso nel corso di conflitti armati internazionali o no e, se commesso nel contesto di un attacco contro una popolazione civile, viene giustamente definito come crimine contro l’umanità.

Lo stupro, reato sempre orribile in ogni tempo e in ogni luogo, praticato durante le guerre assume in più la connotazione di un atto estremo di crudeltà e di umiliazione verso gli uomini e le donne catturati, come mezzo per imporre il proprio potere e distruggere l’avversario nella sua totalità morale e fisica.

Lo stato sudanese non vuole però nessun tipo di interferenze da parte di organismi internazionali, l’arresto di due operatori di Medici Senza Frontiere, per aver pubblicato un documento di inchiesta sullo stupro di 200 donne africane, ne è la prova.

Disonorata” e “rovinata” sono i termini che usano la famiglia e il fidanzato di una povera ragazza di 16 anni, ma qual era la vera colpa della giovane? L’unica colpa della fanciulla è stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato e di aver avuto dei genitori legati più alla tradizione che al suo benessere.

Non possiamo dimenticarci neppure delle ingiustizie subite da due sostenitrici dei diritti umani; le due giovani sono state infatti molestate e aggredite dalle forze armate governative, le quali non si sono limitate a calpestare la dignità di due donne indifese, ma le hanno accusate di essersi “auto prostituite”.

La “tradizione” nei Paesi democratici ha sempre assunto un significato dolce e positivo, con il ruolo di unire tante famiglie accomunate dalla stessa cultura e degli stessi usi.

Ma la tradizione spesso se imposta e seguita alla lettera può celare terribili conseguenze e sussurrare a chi non la rispetta una “condanna alla libertà”.

Le autorità devote alla propria cultura patriarcale, si sono macchiate di terribili atrocità per imporre una società di stampo tradizionale anche a tutti i coloro che sognano un futuro variopinto di speranza e libero da ogni forma di divieto e di ingiustizia.

Molti sono infatti i casi di donne scomparse e arrestate solo perché, guidate dalla forza del coraggio, hanno osato sfidare le norme di genere imposte e lottato con tenacia per la difesa dei diritti umani.

Le ingiustizie subite sono davvero tante e ognuna di esse meriterebbe di essere ricordata, ma non essendo questo possibile basta ricordarsi anche solo di una vittima che sarà la voce di tutte le altre e così facendo rimarranno tutte in vita e la loro morte seppur ingiusta servirà al futuro per essere migliore.

MSF si occupa di regalare luminosità dove regna il buio, di portare cura là dove soggiorna da fin troppo tempo la violenza e la povertà, ma soprattutto porta alla luce storie, racconti e testimonianze trattate con noncuranza da chi non le vive, da chi si sente lontano dalle tragedie che uomini donne e bambini, come noi, affrontano. MSF porta quindi speranza e desiderio di un mondo nuovo e libero da stereotipi ed ingiustizie. Dall’ ottobre del 2004 al febbraio del 2005 i volontari di MSF hanno curato 500 donne e ragazze stuprate nel Darfur che hanno avuto l’unica colpa, se si può definire tale, di essersi allontanate dai propri villaggi alla ricerca di beni necessari per la sopravvivenza.

MSF incita il governo locale e gli altri operatori sanitari del Darfur a garantire cure complete e idonee alle vittime della violenza sessuale e a promuovere la cessazione della censura e della emarginazione nei confronti delle vittime dello stupro. Infatti, anziché ricevere cure mediche e psicologiche adeguate, devono spesso affrontare la stigmatizzazione. In alcuni casi, le vittime dello stupro sono state arrestate e considerate le colpevoli del crimine mentre i veri responsabili restano spesso impuniti.

“Malgrado le sue devastanti conseguenze, lo stupro in Darfur e in altre zone di conflitto non ha ricevuto l’attenzione che le dimensioni del crimine o la gravità del suo impatto richiedono” ha detto Kenny Gluck, responsabile delle operazioni di MSF ad Amsterdam. “Questo deve cambiare. È ora di far cessare questo crimine efferato, che è un’aperta violazione del diritto internazionale umanitario. I responsabili devono essere perseguiti e non tollerati”.

Purtroppo eliminare completamente le disuguaglianze sociali non è possibile, così come non è facile estirpare convinzioni e ideali di interi popoli anche perché, come detto prima, imporre le ideologie di pensiero non porterà mai ad un futuro più libero dove regna la giustizia. Quello che possiamo fare è far sapere ad un numero sempre maggiore di persone la verità su quello che accade in paesi come il Darfur, luoghi che gli occidentali reputano lontani non solo dal punto di vista geografico, ma anche dal punto di vista del modo di vivere.

Sensibilizzare la popolazione mondiale rendendo “vicino” un problema considerato lontano.

In conclusione, le ingiustizie che avvengono in Darfur sono il risultato di un continuo desiderio di potere da parte dei governi delle due fazioni in guerra che pur di avere la meglio sono disposti a disumanizzare il nemico privandolo delle sue libertà, della sua identità e soprattutto calpestando la sua dignità fisica e morale.

 

Autori: Giulia Cricchio, Annamaria Frenda

Classe e scuola: classe 3^ E - Istituto Comprensivo "Guglielmo Marconi" - Palermo

Insegnante di riferimento: Daniela Conte