Una storia dal Nord Kivu, da ragazzi come noi.

Questo Natale abbiamo dato sfogo alla nostra creatività costruendo degli alberelli di carta, ai quali erano appese frasi riguardanti l’importanza del prendersi cura degli altri. Li abbiamo venduti e abbiamo deciso, nel nostro piccolo, di prenderci anche noi cura di qualcuno, donando tutto il ricavato alla Fondazione Cariello Corbino, che si occupa di garantire a decine di bambini in Nord Kivu (RDC) un’istruzione, cercando di aprire loro la strada per un futuro migliore.
Attraverso la Fondazione abbiamo conosciuto Jean-Claude, che vive a Rumangabo, in una casa famiglia costruita appositamente per i ragazzi dell’orfanotrofio “Les Gazelles de Silvana”.
Jean-Claude è timido, come ciascuno di noi sarebbe di fronte alla videocamera del telefonino con cui ci manda la sua videointervista. L’imbarazzo si può notare dalla posizione del suo corpo, dalle sue espressioni o dalle sue risposte, pronunciate a voce bassa e con un sorriso appena accennato.
Jean-Claude da grande vorrebbe diventare informatico, ama cantare e giocare con gli altri bambini, orfani come lui e per lui come fratelli, e la sua passione è il calcio. Armandosi del suo francese stentato, nonostante sia la sua lingua di scolarizzazione, ci racconta i suoi sogni, le sue passioni e i suoi passatempi, in poche parole la sua vita di tutti i giorni, una vita che, pur non essendo agiata come la nostra, è quella di un ragazzo come tutti gli altri, un ragazzo normale, un ragazzo come noi.
Lui e gli altri componenti della sua grande famiglia sono, infatti, ragazzi con le nostre stesse caratteristiche fisiche, le stesse personalità che crescono, le stesse sensazioni e fragilità.
Le aspirazioni di Jean-Claude sono proprio come le nostre: molti di voi lettori, magari, da grandi vorrebbero diventare informatici, ma anche dottori, maestri, pasticceri… e magari, in futuro, avrete anche più possibilità di realizzare i vostri desideri rispetto a Jean-Claude e ai suoi fratelli. Per adesso, però, tutti noi possiamo solo sognare e sperare fermamente che i nostri desideri prendano vita, ed è proprio questo che ci accomuna, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, fortunati o meno…
Tutti noi da grandi ci immaginiamo forti e felici, pronti a superare ogni ostacolo o imprevisto, con le nostre qualità e le nostre mancanze. Non pensiamo a quanto poco realistico possa essere il tutto, lo immaginiamo e basta. Ragazzi come il nostro Jean-Claude vengono spesso considerati “lontani”, non solo geograficamente, diversi da noi perché il contesto in cui vivono è differente, da tutti i punti di vista – politico, economico, culturale – o forse solo perché hanno vite più complicate delle nostre.
Eppure, dal 1989 esiste la Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, secondo la quale i diversi stati devono impegnare il massimo delle risorse disponibili per tutelare la vita e il sano sviluppo del bambino. Eppure, ancora l’ONU nell’agenda 2030 ha posto tra i principali obiettivi quello di garantire un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti.
La realtà è che in troppi paesi, ancora oggi, questi diritti non vengono riconosciuti, e la cura dell’infanzia e dell’adolescenza viene lasciata alla buona volontà dei singoli. C’è ancora molto lavoro da fare, affinché Jean-Claude e i suoi fratelli possano continuare a sperare e a sognare, come è loro diritto, come ciascuno di noi.

di Giulia Corbella, Viola Pezzoni, Educandato Statale Setti Carraro Milano, Secondaria di I grado, IIB