E’ da un po’ che non vedo più mia sorella.

 

 

Negli ultimi tempi è stata davvero male. Aveva spesso la febbre alta, che la costringeva a letto a tremare sotto le coperte. Aveva costantemente una tosse così forte da farle male la gola. Papà ci scherzava e la paragonava ad un cane che abbaia, ci divertivamo tanto. Coglieva però sempre l’occasione per farle un monito sul suo abbigliamento, un po’ troppo poco coperto per i gusti da uomo all’antica ma piuttosto alla moda per i nostri tempi, definendoli la causa del suo continuo malessere.

Un giorno mamma mi aveva portata a casa dei nonni, aveva una strana aria preoccupata. Prese per un momento il nonno Hank in disparte, stavano parlando di cose da grandi pensai, non me ne preoccupai e con una semplice alzata di spalle tornai a giocare con le bambole. Prima di andare via mi disse che sarebbe tornata per cena.

Tornò la mattina successiva, ma non mi portò con sè.

Oggi finalmente è arrivato papà.

Seguendo in suo gesto sbrigativo sono entrata velocemente in macchina e siamo partiti per tornare a casa. Ha uno sguardo cupo, con il volto crucciato e gli occhi fissi sulla strada guida, anche se si legge nella sua espressione come in realtà la sua mente sia tormentata da ben altro dal motorino di fronte a noi che ci taglia la strada. Provo così a rallegrarlo raccontargli delle cose divertenti che ho fatto con la nonna Mary, ma ciò non sembra sortire l’effetto desiderato.

Casa è identica come l’avevamo lasciata, eppure adesso sembra tutto cosi diverso. Non si sentono chiacchiere e risate spensierate echeggiare tra i muri, solo un opprimente silenzio. Questa tensione viene improvvisamente spezzata da un forte colpo di tosse.

So già dove andare. A nulla servono i richiami di mio padre mentre corro a perdifiato verso le camere.

“Sei tornata!” Kate è seduta sul letto ed osserva il cielo nuvoloso fuori dalla finestra. Si gira di scatto verso di me e il suo sguardo si illumina. Provo ad avvicinarmi per abbracciarla ma verngo fermata da nostra madre che mi ordina di uscire dalla stanza, non nascondendo uno sguardo truce nei confronti di mia sorella, che abbassa colpevole la testa.

Chissà perché lo ha fatto.

Anche a cena non parla nessuno e mia sorella non c’è a tavola. Vorrei andare a trovarla ma i nostri genitori me lo hanno impedito. Ad una certa ora quando stavo per addormentarmi vengo rivegliata da delle urla.

Erano la mamma e Kate.

“Sei una ingrata! Con tutto quello che abbiamo fatto per te! E tu fai queste cose?”

“Ma’ ti ripeto io non lo sapevo. Sennò non lo avrei mai fatto”

“Non è solo questo! Io ti avevo insegnato ad essere una ragazza per bene, non a una che va a letto con il primo zingaro che incontra. Insomma almeno lo credevo”

“Non era una persona a caso. Per me lui era una perona importante. Mi ha aiutato in dei momenti difficili. E’ stato l’unico ad esserci!”

“Più importante della famiglia? Sei completamente impazzita?”

“Si mamma. Lui c’era, tu invece eri troppo impegnata per stare con me”

“Ma perfavore! Ho visto il grande sostegno che ti ha dato! La prossima volta quando lo vedi ringrazialo per averti passato l’HIV!”

HIV? Che cos’è? Vorrei cercare di capire, così apro leggermente la porta per sentire meglio la discussione. Sfortunatamente per me mio padre se ne accorge, interrompe la discussione tra le due donne e mi rimette a letto.

A colazione papà mi ha detto solo che Kate aveva fatto una cosa brutta, adesso aveva preso una malattia e noi non possiamo più stare con lei.

Sono abbiata con Kate. Non solo aveva litigato con la mamma e l’aveva fatta dispiacere tanto, ma adesso non potevo neanche più giocare con lei. Ho deciso che non le avrei parlato più.

Però dopo che mia sorella, nel mentre che i nostri genitori non sono in casa, mi chiama ripetutamente da dietro la porta e io non sono in grado di far durare questo silenzio punitivo ancora a lungo.

“Perché mi chiami Kate? Prima fai una cosa cattiva e non pensi a noi, poi mi chiami così. Non hai fatto una cosa bella. Poi ti sei presa quella cosa strana… si quella malattia dal nome strano! HIC o HCP o come si chiamava! Se non volevi giocare più con me potevi anche dirmelo! Non mi sarei offesa. No!” Le lacrime iniziano a solcarmi sempre più copiosamente ad ogni parola che pronuncio, o meglio urlo, contro la porta chiusa della stanza.

Mia sorella inizia a piangere con me e mi chiede con voce supplicante di entrare.

E in quel momento finalmente qualcuno parla chiaro con me, senza usare filtri nelle proprie parole e spiegandomi tutto.

E’ vero che sta male e ha fatto una cosa che alla sua età non avrebbe dovuto neanche pensare. Però non era vero che non ci voleva bene, per lei eravamo la cosa più cara che aveva al mondo.

La malattia si chiama HIV, non c’è ancora una cura, ma l’avrebbero trovata e lei sarebbe tornata a stare bene. Non era una malattia che si trasmetteva per contatto, quindi potevamo stare ancora insieme e divertirci e così avremmo continuato a fare a lungo.

Mi lancio finalmente tra le sue braccia e le do quell’abbraccio di cui avevamo bisogno entrambe da tempo.

 

Autori: Giada Cicconi

Classe e scuola: Liceo Rosetti san benedetto del tronto AP

Insegnante di riferimento: Adelia Micozzi