“Tutto è sparito: macchine per i raggi X, concentratori di ossigeno, materassi per i pazienti” riferisce James Elder, portavoce dell’UNICEF.

“Un medico mi ha detto: aveva tutti i servizi di cui una madre e un bambino avevano bisogno. Era un posto che salvava vite. Non c’era nessun motivo, per cui le forze armate venissero qui. Sono venuti per vandalizzare e saccheggiare”.
È questo lo scenario apocalittico che sta sconvolgendo il Tigrè, la regione più a nord dell’Etiopia, che dal 4 novembre 2020 è sotto assiduo attacco delle truppe federali etiopi ed eritree. Il conflitto è la conseguenza di continue tensioni tra Addis Abeba (governo centrale-federale) e il Tigrè (regione semi-autonoma). L’evento che ha innescato l’invasione è stato l’assedio di una caserma dell’esercito federale da parte di milizie fedeli al governo locale. Il primo ministro Abiy Ahmed ha agito con pugno di ferro e ha lanciato un attacco su larga scala per sedare la ribellione e per riportare sotto controllo l’amministrazione locale, poi supportato anche dall’esercito eritreo.

Mappa che mostra l’andamento dell’invasione del Tigrè

Per un approfondimento sulla guerra si può vedere il video.

La guerra si è subito trasformata in un annientamento sistematico di civili. Da quel 4 novembre 2020 i tigrini (abitanti del Tigrè) hanno assistito a ogni genere di violenza: interi villaggi distrutti, case incendiate, civili deportati, donne stuprate e sfregiate.
A causa della “chiusura” mediatica della regione non ci sono dati certi ma si stima che i morti siano circa 50 mila. Secondo l’UNICEF il numero degli sfollati, obbligati a rifugiarsi nelle nazioni vicine, specialmente nel Sudan, supera il milione. L’ONU dichiara la catastrofe umanitaria: moltissimi tigrini non hanno più nulla, partendo da beni essenziali come cibo e acqua fino ad arrivare alle cure mediche.

I massacri nascosti nella regione etiope del Tigrai

Ormai è un grande classico: i governi che tentano un colpo di mano lo fanno tagliando innanzitutto la connessione a internet e bloccando l'accesso ai giornalisti. È ciò che sta accadendo da tre mesi nella regione del Tigrai, nel nord dell'Etiopia, da quando il governo di Addis Abeba ha inviato l'esercito federale per domare un esecutivo locale in rottura con il potere centrale.

Etiopia: Unicef, più di 1 milione di sfollati nel Tigrè - Africa

Ammonta a più di un milione il numero delle persone sfollate in Etiopia, nello Stato regionale del Tigrè, dove i combattimenti continuano dopo l'offensiva militare governativa cominciata lo scorso 4 novembre ed emerge "una preoccupante fotografia di gravi ... (ANSA)

Purtroppo dall’inizio del conflitto anche ospedali e centri di cura vengono colpiti da saccheggi, vandalismo e distruzioni. Tra metà dicembre e inizio marzo si stima che quasi il 70% delle 106 strutture sanitarie sia stato saccheggiato, più del 30% danneggiato mentre solo il 13% funziona normalmente. In molti centri sanitari, come Debre Abay e May Kuhli nel nord-ovest del Tigrè, si vedono attrezzature distrutte, porte e finestre rotte, medicine e cartelle cliniche buttate a terra. Nell’ospedale di Adwa, nel Tigrè centrale, le apparecchiature mediche sono state distrutte di proposito. Nella stessa regione, la struttura sanitaria di Semema è stata saccheggiata due volte dai soldati prima di essere incendiata, mentre la sala parto del centro sanitario di Sebeya è stata colpita e distrutta da un lancio di razzi. Tra le diverse strutture visitate da MSF, una su cinque era stata occupata da soldati e alcune rimangono tuttora sotto occupazione armata. A Mugulat, nel Tigrè orientale, i soldati utilizzano il centro di salute locale come base operativa. Nella parte centrale della regione, l’ospedale di Abiy Addi, che serve una popolazione di mezzo milione di abitanti, è stato occupato dalle forze etiopi a inizio marzo.

Negli ultimi mesi il territorio è diventato inaccessibile agli operatori umanitari, impegnati da molti anni in diversi settori -da quello sanitario alla sicurezza alimentare, fino al supporto dei rifugiati eritrei in fuga dal regime di Isaias Afewerki- ma anche per i giornalisti, rendendo invisibili le conseguenze del conflitto. È difficile, quindi, trovare testimonianze dirette di questo massacro ma si può provare a mettersi nei panni di chi lo sta vivendo. Nei panni delle donne che sono state violentate da soldati etiopi o eritrei, nei panni delle donne morte di parto che non hanno potuto raggiungere i pochi ospedali rimasti per mancanza di ambulanze e di sicurezza sulle strade. Nei panni delle persone che hanno bisogno di cure mediche immediate, come le vittime di violenza sessuale, i pazienti con malattie croniche, come il diabete, i neonati, o anche persone comuni a cui può capitare un incidente.

Etiopia: sempre più preoccupante la situazione umanitaria - Medici Senza Frontiere Italia

Le organizzazioni umanitarie ancora non hanno accesso alle aree più colpite, nonostante l'accordo firmato a inizio dicembre tra le Nazione Unite e il Governo Federale per consentire l'accesso agli aiuti nel Tigrè. Si stima che l'intensificarsi del conflitto possa ripercuotersi su nove milioni di persone, mentre il numero degli sfollati ha superato il milione all'interno e fuori dai confini dell'Etiopia.

Non ci vuole molto per comprendere quanto sia fondamentale un sistema sanitario efficiente. Quindi possiamo anche comprendere quanto questo attacco diretto non sia una casualità, ma la conseguenza di una strategia mirata al collasso della regione e dei suoi abitanti: non una guerra difensiva, ma il tentativo di distruzione di una regione e di una popolazione intera.

di Matteo Borioni, Francesca De Luca, Sara Pincha, Francesco Simeone, Madalina Vidinei, Classe 4 bl, Liceo Linguistico Monna Agnese,Siena