Pensa a tutti quei bambini che non hanno niente da mangiare.

Quante volte abbiamo sentito questa frase dai nostri genitori di fronte ad un pasto non finito. Ma quelle parole dove portavano la nostra mente di bambino? A realtà che ci sembravano lontane, viste ogni tanto nelle immagini della tv. Fantasticando ad occhi chiusi, immaginavamo di partire, con il nostro piccolo contenitore, e raggiungere quei paesi per portare alcune briciole di felicità a quei volti segnati dalla sofferenza. Improvvisamente apriamo gli occhi e capiamo che non stiamo fantasticando, ma siamo immersi in una tremenda realtà. Ci rendiamo conto che ciò che ci circonda non è curabile con un semplice piatto di spaghetti avanzati, non è un documentario, ma la vita reale. Se vita si può chiamare, perché qui vediamo un’infanzia negata, facce inespressive, sguardi persi nel vuoto… Ci troviamo nell’infernale discarica di Nairobi e i volti descritti, sono quelli dei cosiddetti “zombie” che popolano la città.

Nairobi, con i suoi 4 milioni di abitanti, risulta essere una delle città più ricche d’Africa e la più grande del Kenya. Ma siamo sicuri che il valore economico coincida con quello sociale ed umano? Probabilmente no. Il 60% della popolazione, ovvero più di 2 milioni di persone, è costretto a vivere nelle 110 baraccopoli abusive e pericolose, in condizioni degradanti. Mancano servizi igienici adeguati, impianti idraulici (assenza di acqua potabile), fognari ed elettrici.

Credit: elaborazione grafica degli autori su dati associazione Alice for children

Una delle baraccopoli più ampie è quella di Mathare, nella periferia di Nairobi. Ospita circa 500.000 persone che si mischiano alle 850 tonnellate di rifiuti scaricati giornalmente e differenziati manualmente da 10.000 lavoratori, di cui il 55% (circa 5500) sono bambini. Metà di loro è affetta da gravi problemi alle vie respiratorie, a causa dell’inalazione delle tossine prodotte dai rifiuti. Inoltre, rinunciando all’istruzione, i bambini lavorano per cercare di contribuire alle entrate familiari, anche se un guadagno così basso, 2 euro al giorno, non permette di acquistare neanche i beni di prima necessità. Così gli abitanti di Mathare cercano un rifugio nella droga.
In queste strade sembra di vivere una scena di un film apocalittico: devastazione, sporcizia, criminalità, povertà e persone che, come “zombie”, vagano privi di coscienza, con una bottiglia di plastica tra le mani. Nel contenitore c’è quella che loro considerano una sorta di medicina per vivere e che toglie i morsi della fame, ma che li distrugge lentamente: la colla per le scarpe-detta anche kamusina- reperita nelle numerose botteghe dei calzolai, anch’essi disperati che si arricchiscono sulle miserie dei loro simili. Tra “i morti che camminano” moltissimi sono bambini, abituati a stordirsi fin da piccoli mentre le loro madri si prostituiscono. Sono stati stimati 300 mila i minori senza tetto del Kenya che fanno uso di questa sostanza, 60 mila vivono a Nairobi. Nell’immediato, la colla allontana dallo stress, dal dolore e dalla fame. Gli effetti sono simili a quelli di un’ubriacatura, ma sono alla lunga devastanti per le cellule cerebrali: depressione, perdita di concentrazione e coordinazione nei movimenti. Può anche portare ad allucinazioni, aggressività e black out mentali di alcuni minuti.

Altra sostanza molto diffusa, altamente tossica e più economica della colla è il “Mafut Angege”, ovvero il carburante per aerei, un composto di idrocarburi, soprattutto Kerosene, rinforzato con solventi chimici per evitare che si ghiacci a basse temperature. Il liquido viene inalato ripetutamente durante la giornata da uno straccio che ne viene imbevuto; abbatte ansia e stress, ma può provocare stordimento, vertigini, allucinazioni, collasso cardiaco, crisi respiratorie e blackout del cervello con danni permanenti. Dove trovarla? Nei quartieri più vicini all’aeroporto, luoghi che, a causa di ciò, risultano molto pericolosi, ma dove la sostanza risulta essere facilmente reperibile per pochi spiccioli, venduta da persone disperate quanto chi ne fa uso.
È inammissibile che ad oggi una delle principali cause di morte nel mondo sia la fame e che le persone più povere debbano ricorrere a soluzioni alternative per non soffrire. Esistono organizzazioni che cercano di migliorare le condizioni di vita a Nairobi, provando a salvare i bambini che vivono nelle strade. Tra queste, ad esempio, l’organizzazione italiana Amani Africa, che da 25 anni, sostenendo progetti sociali, permette a molti bambini di costruirsi un futuro, assicurando loro un’abitazione, un’istruzione e cibo. È ciò che è accaduto a Steve, 11 anni: con inaspettata prontezza ha raccontato le gravi situazioni che lo circondavano. Di fronte alla proposta di trasferirsi in una struttura, i suoi occhi spenti dalla droga hanno iniziato a brillare.
Per approfondimenti si può vedere questo documentario.

I bambini di Nairobi ridotti in zombie dalla droga dei poveri * Episodio 2

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Guardando queste realtà, per noi esseri umani occidentali, abituati ad una vita dove con un click possiamo ottenere gran parte delle cose che desideriamo, risulta inaccettabile che non ci sia ancora il giusto tasto da premere per dare dignità a queste persone, che del vivere da essere umano non hanno più niente

di Sara Farsetti, Angelo Gugliara, Agnese Migliorini, classe 4 BL, Liceo Linguistico Monna Agnese, Siena