“Nel le nostre tiepide case, tra cibi caldi e visi amici”

Il 21/1/2021 abbiamo visto, trasmesso da La 7, Inferno Bosnia, un’inchiesta su chi viene dall’Afghanistan, Pakistan, Iraq e Siria, per scappare dalla guerra o dalla povertà e cercare un futuro migliore, un luogo, l’Europa, che si conosce solo tramite la voce incerta delle genti: peccato che, dopo aver camminato anche per tre anni, si venga fermati in Bosnia, a Bihac, costretti dentro container, con altri 15, tutti ammassati (in tempo di covid!), proprio come in un campo di concentramento. Da lì non si può andare né avanti né indietro, la vita randagia è finita, si può solo aspettare. Nessuno vuole questi rifugiati, né i bosniaci né gli europei, che fanno finta che il problema non esista, ma se ne sentono minacciati: senza colpe i migranti fanno paura, meglio condannarli all’invisibilità.

Gli ebrei ad Auschwitz avevano i numeri sul braccio come mucche al macello: non persone, ma “pezzi”, cose da contare, utili solo finché c’era forza fisica o intellettuale da sfruttare, schiavi, beffati dalla scritta “Il lavoro rende liberi”. Nel video Inferno Bosnia un ragazzo pakistano dice che farebbe qualsiasi lavoro pur di garantirsi un futuro e quindi diventare libero davvero, ma ci riuscirà solo se potrà attraversare il confine da cui, per ora, continua a venir respinto. Riproverà in primavera.
“Oggi, ai nostri giorni, l’inferno deve essere così, una camera grande e vuota, e noi stanchi di stare in piedi, e c’è un rubinetto che gocciola e l’acqua non si può bere, e noi aspettiamo qualcosa di certamente terribile e non succede niente e continua a non succedere niente”. Anche nel campo bosniaco c’è un rubinetto con scritto ‘acqua non potabile’. I bagni non funzionano né il riscaldamento. Gli inverni sono come tutti gli inverni, predatori. Si mette in moto un lavorio di adattamento, in parte inconscio, in parte necessario, costretto da notti che non passano mai, nel timore che il giorno dopo sia peggio. Si accendono dei fuochi per scaldarsi e passarsi via, ché stare a guardare il fuoco, magari insieme, ovunque affascina e consola. Il 23 dicembre 2020, però, c’è stato un incendio nel campo e alcuni dei migranti sono rimasti ustionati, ma non sono stati portati in un ospedale a medicarsi.
Primo Levi in Se questo è un uomo racconta la sorpresa di quando, per la prima volta, loro ebrei furono picchiati dai tedeschi (“e la cosa fu così nuova e insensata (…) come si può percuotere un uomo senza collera?”) e senza colpa? Poi, di sorpresa in sorpresa, descrive quando gli tolsero gli abiti, le scarpe, i capelli: anche la polizia croata è feroce, mena e toglie le scarpe a chi trova nel bosco e tenta la fuga; così è più difficile scappare, ma capita che, d’inverno, così anche si congelino i piedi e si debba amputarli e alla fine di questo si muoia.
Alcuni ragazzi, pochi, ce l’hanno fatta ad arrivare a Trieste e chiedere alla frontiera asilo politico, ma non gliel’hanno concesso e sono stati riconsegnati alla polizia croata e questa di nuovo a quella bosniaca. Le SS, in effetti, se gli ebrei provavano a scappare, li uccidevano senza tanti passaggi.
Quando i soldati si avvicinano alla rete del campo per distribuire il cibo, certi migranti, in fila, con le infradito ai piedi, in mezzo alla neve, ne prendono due volte, lasciando gli altri senza; scoppiano litigi, se si rivolgono alle autorità non vengono neanche ascoltati (“se parleremo non ci ascolteranno”). Questo succede, se si viene trattati da bestie: lo si diventa. E’ stato sempre Levi il primo a raccontarcelo. D’altra parte, come potranno, questi uomini-ragazzi mai tornare a fidarsi del prossimo, a credere nella solidarietà?
“A poco a poco prevale il silenzio, e allora, dalla mia cuccetta che è al terzo piano, si vede e si sente che (…) Kuhn prega, ad alta voce, col berretto in testa e dondolando il busto con violenza”. Pure in Inferno Bosnia c’è qualcuno in ginocchio, che dedica il suo tempo a Dio, anche se scappa dai talebani che gli hanno ucciso il padre.
C’è nel video un altro ragazzo (sono quasi tutti molto giovani, come ad Auschwitz, d’altronde, dove i vecchi andavano al gas appena arrivati) che parla di sua madre: dice che ogni tanto la sente, ma tiene spenta la telecamera del cellulare per non farle vedere in che condizioni vive: se se ne accorgesse si metterebbe a piangere. Anche Primo Levi parla delle madri, che in fondo si somigliano tutte, fanno sempre le stesse domande: stai bene? mangi abbastanza?, e si meraviglierebbero a scoprire che i loro figli, ad Auschwitz, riescono a cavarsela, loro, che andavano in giro così sprovveduti, senza un soldo in tasca. Un uomo più maturo, non si ricorda se ha 28 o 29 anni, mostra dal telefono le foto delle sue bambine: per loro è partito. E’ il mondo degli affetti che alla fine risulta per tutti così doloroso da costringersi a non pensarci, è la nostalgia che ancora lucida gli occhi. Il passato, d’altra parte, rimane l’unico tempo sicuro rispetto a un presente vuoto e un futuro senza speranza.

Ma non doveva accadere mai più? A cosa servono le giornate della memoria ‘per non dimenticare’?!
Per i morti non si può fare più niente che non sia ricordarli, ma per chi, senza colpa, senza libertà né dignità, è ancora vivo?
Se la storia è magistra vitae, siamo proprio cattivi studenti e pensare che bastava aprire la mente!
E’ tutto sbagliato: siamo arrivati “sul fondo”.

di  Gabriele Caliari, Sara Canteri, Giulia Cipriani, Nicholas Cosenza, Thomas Dall’ora, Anna Di Fazio, Giorgia Doroftei, Ikram El Farssani, Matteo Fontana, Anna Modena, Giulia Pozzer, Debora Scardoni, Ilaria Soffiati, Leonardo Togni, Chiara Turrini, Emy Zuccher della classe 2D dell’ITC Lorgna Pindemonte di Verona

FONTI:

  • S. Giudice, Inferno Bosnia, Piazza Pulita, La Sette, 21.01.2021
  • P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, 1958, Torino