Nel nostro paese alla diffusione del Coronavirus e alle sue drammatiche conseguenze, subito personalità di rilievo, aziende, enti pubblici e anche semplici cittadini hanno dato inizio a innumerevoli campagne di raccolta fondi per il sistema ospedaliero.

Si è parlato (e si parla tuttora) di "guerra" al virus. Una guerra che però si può combattere stando in casa, e facendo affidamento su un sistema sanitario che, nonostante le tantissime problematiche, è comunque in grado di garantire cure a tutti.
Ma nel frattempo ci siamo completamente dimenticati (se non lo avessimo già fatto) dei paesi dove c'è davvero la guerra, dove il sistema sanitario quasi non esiste, dove milioni di persone non si preoccupano per il proprio posto di lavoro, ma per la propria sopravvivenza. Paesi come lo Yemen.

Lo Yemen si trova nel sud della Penisola Arabica. Anticamente è stato sede di traffici commerciali tra Oriente e Occidente, tanto da fruttargli il nome di Arabia felix. Ora, invece, secondo l’ONU, si è ridotto ad essere la peggiore crisi umanitaria del mondo ed è martoriato da profonde divisioni interne alimentate dalle grandi potenze straniere.
Giunto ad una riunificazione nel 1990, nel febbraio del 2015 a causa dell'occupazione della capitale San’a a opera di un gruppo armato sciita di Huthi, e le conseguenti dimissioni il presidente Hadi è ripiombato nell'incubo di uno scontro interno.
Scontro, tra il nord sciita e il sud guidato dall'ex presidente, rifugiatosi ad Aden, che ha avuto definitivamente inizio la sera tra il 25 e il 26 Marzo, quando una coalizione araba di nove paesi, guidata e sostenuta dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti, ha iniziato un bombardamento nei territori controllati dai ribelli sciiti, dando vita così alla drammatica guerra civile.

Come in tutti i conflitti moderni, anche nello Yemen a pagare il prezzo più alto sono i civili, uccisi più dal colera e dalla fame che dalle bombe. Due persone su tre infatti non hanno accesso all’assistenza sanitaria di base e solo la metà delle strutture sanitarie sono funzionanti.

Una situazione drammatica soprattutto per donne incinte e bambini, per i quali Medici senza frontiere nel 2018 ha allestito un’équipe che possa fornire assistenza pediatrica e ostetrica.

La stessa ONG nel 2018 ha lavorato in 13 ospedali e centri sanitari fornendo assistenza a più di 20 strutture sanitarie in 12 governatorati. Inoltre, a seguito di un’offensiva lanciata contro Hodeidah il 13 giugno del 2018, ha aperto un ospedale a Mocha eseguendo quasi 1300 operazioni chirurgiche prima della fine dell’anno. A settembre, poi, ha iniziato a fornire assistenza medica e chirurgica di emergenza presso l’ospedale di Al Salakhana e assistenza tecnica ad altri ospedali del governatorato.
Si tratta di una missione ad altissimo pericolo, considerando che alcune strutture sono state bombardate diverse volte, provocando feriti e morti, e che alcuni progetti nel governato di Ab Dhale hanno dovuto subire un'interruzione dopo essere stati colpiti da attentati per due volte nella stessa settimana.
Per quanto riguarda le epidemie, il colera non è l’unica che fa paura. Nel 2018 alcuni team di Medici senza frontiere hanno registrato casi di difterite in diverse parti del paese assieme a 1981 casi di morbillo.

Nonostante queste cifre terribili, che denotano solo superficialmente la grandissima sofferenza del popolo yemenita, il drammatico conflitto prosegue inesorabilmente nell’indifferenza più totale dell’Occidente che non si oppone alla vendita di armi, facendo esclusivamente gli interessi delle lobby del settore, e non interviene quasi per niente in aiuto dei milioni di sfollati.

La loro speranza risiede quindi solo nei pochi corridoi umanitari, grazie ai quali, a rischio anche di bombardamenti, riescono a portare cibo e medicinali, e nell'operato di Medici Senza Frontiere, che lavora strenuamente per aiutare più persone possibile nella sicurezza che può garantire un teatro di guerra, subendo continue minacce e attacchi.

Per quanto potremmo continuare ad ignorare il grido di dolore di milioni di persone, uomini, donne e bambini che a causa degli interessi di leader spietati e fabbricanti di armi sono costretti a scappare da una casa che non c'è più, senza cibo, esposti ai bombardamenti e a qualsiasi malattia - anche il Covid-19! - con la quasi totale mancanza di medicinali o strutture mediche? Noi, che facciamo progetti per il futuro, possiamo voltarci dall'altro lato quando vediamo milioni di persone che non sanno se sopravvivranno un altro giorno?

Se ci definiamo esseri umani, è il momento di dimostrarlo, di spenderci per gli yemeniti come abbiamo prontamente e generosamente fatto per il nostro sistema sanitario. Di protestare contro i nostri governanti che continuano a esportare armi nello Yemen e a supportare una guerra disumana in cui gli unici vincitori saranno i produttori di materiale bellico. Di chiedere un'informazione giusta ed equilibrata, che non approfitti del momento per trascurare totalmente la sofferenza di un popolo.
È il momento. Non possiamo rimandare, o avremo sulla coscienza un peso troppo grande.

di Elena Bolognini e Alberto Zaghini del liceo scientifico A. Einstein, Rimini

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