Uno dei fenomeni piú complessi del nostro tempo é quello dell’accoglienza dei migranti.
Per poterlo capire meglio, abbiamo intervistato Drissa Kone, che ci ha raccontato la sua personale esperienza in un italiano fluido e corretto. L’ ha imparato in questi nove anni vissuti a Brindisi.
Drissa ci ha parlato del suo villaggio natio, nella regione del Sikasso, in Mali. Qui la vita é difficile per via della guerra ; a farne le spese soprattutto le donne e i bambini che vengono rapiti per poi chiederne un riscatto. La vita degli uomini, che devono ricorrere alle armi, per proteggere le famiglie, é piena di pericoli. Così, desideroso di un posto migliore dove vivere, un posto che gli garantisse il rispetto dei diritti umani, Drissa ha abbandonato il suo villaggio e ha affrontato un viaggio lungo e difficile. Aveva appena vent’anni. A sostenerlo la forte fede e gli ammonimenti di sua madre che egli ci ripete con gli occhi lucidi: non rubare, non sperperare il denaro, e vivi seguendo i tuoi valori. Lo strappo dalla sua terra e dalla sua famiglia é stato doloroso. Ha lasciato la madre vedova ( il padre é morto in un incidente, quando lui aveva solo sei anni), ammalata e sola ed i suoi fratelli.
Ci racconta che la sua prima meta non é stata l’Italia, bensì i territori limitrofi al Mali, sperando di trovare una realtà in cui venissero rispettati i diritti umani. E’ stato in costa d’Avorio, in Libia, ma ogni volta le sue attese sono state deluse. Da qui la decisione di partire per l’Europa. Il suo é stato un viaggio terribile, pieno di pericoli, faticoso. Si é affidato ai trafficanti che, in cambio di denaro, gli hanno promesso di portarlo a destinazione. Ha attraverso il deserto con un pick up. Il cibo scarseggiava e l’acqua veniva razionata: tre volte al dí in un tappo di bottiglia. Quando il mezzo di trasporto sprofondava nelle dune, erano costretti a spingerlo. In ogni tappa del viaggio doveva lavorare per pagarsi la tratta successiva. Ha fatto tanti lavori diversi, senza mai arrendersi, determinato a raggiungere la sua meta. Arrivato in Italia, stanco e debilitato, si é inserito nella nuova realtà, cercando di imparare prima la lingua, e provando ad adattarsi ad ogni circostanza. Ha fatto il cuoco per un po’ di anni. Sa cucinare i piatti dei vari paesi in cui é stato e ci mostra con gioia le foto delle prelibatezze che prepara agli amici. Ha imparato anche da nonna Teresa (un’anziana signora del posto) a fare le orecchiette. Sostiene che la cultura di un popolo passi anche attraverso i suoi piatti. Gli chiediamo se ha un permesso di soggiorno e ci risponde che non solo lo ha, ma gli é stato riconosciuto a tempo indeterminato, per il percorso fatto da quando é in Italia. Ci ha però fatto notare che non può votare e non godrà neppure di una pensione, pur avendo chiesto di pagare le tasse come un qualunque cittadino Italiano. Gli chiediamo se gli manca il suo Paese e ci dice che ritorna spesso dai suoi concittadini, per via della costruzione di pozzi che ha sostenuto con la raccolta di fondi, grazie al sostegno delle scuole di Brindisi e provincia, che si sono mobilitate per aiutarlo. I pozzi sono costosi, devono essere scavati in profondità , perché le acque siano pulite e non provochino malattie. Il suo impegno é ammirevole, come la sua forza e la sua dedizione. Egli non dimentica la sua terra natia, ma non dimentica neppure i suoi fratelli che vivono in Italia. É stato scelto come punto di riferimento per la comunità africana di Brindisi e provincia e si batte per una convivenza pacifica e rispettosa, contribuendo con azioni di volontariato a rendere più vivibile la città che lo ha ospitato e verso la quale si mostra grato. Il dialogo con Drissa, durato circa un’ora, ci ha scosso emotivamente e ci ha fatto riflettere. Le prove che la vita gli ha posto dinanzi non lo hanno reso arido e cinico, ma umano. E la sua umanità é arrivata dalle sue parole, ma soprattuto dal coraggio di esprimere le sue emozioni. Si é rivelato in tutta la sua fragilità, mostrando la sua verità più profonda, facendoci così dono di sé. Ci ha insegnato che l’ uomo ha sempre una scelta. Vogliamo ora rivolgerci ai nostri coetanei e invitarli a porsi le domande che ci siamo poste anche noi: per cosa vogliono spendere la nostra vita? Possiamo contribuire nel nostro piccolo a creare una comunità armonica , integrata e solidale dove il migrante é nostro fratello ? Il cambiamento parte da noi giovani ed avviene oggi, in questo presente, accogliendo l’altro come nostro prossimo e non come diverso e per far questo bisogna predisporre il cuore ad amare e ad accogliere.
di Clarissa Licci, Clara La Greca, IISS E. Majorana, 3AKM