Sono trascorsi 17 anni dall’invasione internazionale dell’Afghanistan, ma è evidente che il Paese è ben lontano dall’essere pacificato.
La guerra, iniziata nell’ottobre 2001, non cessa di uccidere e di distruggere.
8050: questo il numero delle vittime, tra morti e feriti, lo scorso anno dal 1° gennaio al 30 settembre. Ma questa terra è segnata anche dall’eredità di guerre precedenti: mine antiuomo continuano a mutilare molti civili, soprattutto bambini. Infatti, se andiamo indietro nel tempo, scopriamo che i conflitti in Afghanistan durano da circa 40 anni e che hanno causato un milione e mezzo di morti, centinaia di migliaia di feriti e mutilati e oltre quattro milioni di profughi.
I civili afgani sono strozzati tra le forze armate e i talebani. Questi ultimi sono i responsabili di circa la metà di tutte le vittime; i morti rimanenti sono dovuti all’ IS (lo stato islamico) e agli attacchi della coalizione.
Chi paga di più le conseguenze della guerra?
I più deboli, donne e bambini, i più colpiti dalla guerra e dalle sue conseguenze.
Le immense esigenze mediche, continuano a intensificarsi. L’Afghanistan presenta uno dei tassi più elevati di mortalità materna al mondo. Per questo motivo, MSF è intervenuto con massicce risorse, a prescindere dall’appartenenza etnica, politica e religiosa.
Nell’estate del 2017 è stata aperta una clinica ambulatoriale a Kundzun, dove rimane altissima l’emergenza di cure salvavita. Entro il 2019 dovrebbe essere aperto un nuovo ospedale traumatologico.
A Kabul, nell’ospedale distrettuale di Ahmad Shah Baba, dove MSF si occupa soprattutto della salute materna e della gestione dei problemi neonatali, nascono quasi 60 bambini al giorno.
Nella struttura di Dasht-e-Barchi, dedicata alle emergenze, MSF ha gestito circa 16.000 parti, moltissimi con complicazioni.
“Vengo da Nangharhar, in Afghanistan. Sto viaggiando con mio cugino, siamo sono noi due ora. – dice Parwez, 15 anni – La polizia ci ha sparato addosso, siamo fuggiti e ora non so dove sia mio padre. Mio padre lavorava per il governo. Pima di partire mi ha detto: non c’è pace qui, c’è solo guerra, è per questo che dobbiamo andare via”.
Intanto i bambini, quelli che non riescono a scappare, ogni giorno si confrontano con la violenza, lo sfruttamento, la paura. Alcuni sono costretti ad assistere alla morte dei propri cari o a farsi reclutare nei gruppi terroristici. Ad usare armi, a premere i grilletti. Molti non hanno più i genitori, i loro diritti sono violati: abuso, violenza, sfruttamento sono le uniche realtà che conoscano.
di Greta Ciccia, classe II D, Scuola Media “G. Marconi”, Palermo.