Una vita dura come quella di tante persone somale. MSF offre tutto il suo aiuto, nonostante le difficoltà.

Samia Yusuf è una ragazzina somala che ama correre.  A lei e alla sua storia Giuseppe Catozzella ha dedicato il libro intitolato “Non dirmi che hai paura”, edito nel 2014 da Feltrinelli. La ragazzina condivide questa sua passione con il suo migliore amico Alì, con il quale trascorre la maggior parte del tempo della sua infanzia. Entrambi provengono da una famiglia povera e minacciata dalla guerra civile che, dagli anni Novanta in avanti, sta devastando la Somalia.

Purtroppo il libro racconta che il padre di Samia, Omar, viene ucciso da un colpo di pistola nel mercato più grande di Mogadiscio. Samia deve occuparsi dei fratelli più piccoli perché la madre, in seguito a quest’evento tragico, deve recarsi al mercato a lavorare. La ragazzina, nonostante tutto, insegue il suo sogno allenandosi: vuole diventare una vera atleta. Samia corre sempre, appena può. Corre anche di notte, per nascondersi dagli attacchi dei terribili terroristi di Al Shabaab.

A soli 17 anni riesce a qualificarsi per le Olimpiadi di Pechino del 2008. Corre con le maniche lunghe, i pantaloni della tuta e una sciarpa sulla testa: arriva ultima ma diventa un simbolo per le donne musulmane di tutto il mondo.

Dopo le Olimpiadi torna a casa, senza ricevere alcun riconoscimento ufficiale. Gli unici a congratularsi con lei sono i membri della sua famiglia. In questo periodo riceve minacce dal gruppo islamista Al Shabaab. Nel dicembre 2009 la sua famiglia è costretta a trasferirsi in un campo profughi a 20 km da Mogadiscio. Nonostante tutti questi ostacoli e le mille difficoltà quotidiane, nel luglio del 2010 riesce a partecipare ai campionati africani di Nairobi. Il suo vero sogno però è un altro: partecipare alle Olimpiadi di Londra del 2012. Intraprende un viaggio di circa 8000 km, passando per l’ Etiopia e il Sudan, per tentare di arrivare in Europa attraverso il Mediterraneo. Ma il suo viaggio finisce tragicamente proprio in questo mare, su una barca poco attrezzata e stracarica di persone. Samia muore.

Quello che non muore è il suo esempio, il suo coraggio e la sua determinazione. Questa ragazzina insegna che nonostante tutte le difficoltà che si possono incontrare durante la vita, è necessario  inseguire i propri sogni fino all’ultimo, proprio come ha fatto lei. Mai arrendersi e mollare.

Samia ha sofferto molto nella sua vita, ma la sua storia è solo un esempio perché, come lei, tante altre persone soffrono la fame e la sete, muoiono a causa della guerra e delle malattie, perdono la famiglia e rimangono soli. Molte persone addirittura hanno un’infanzia  difficile  e piena di brutti ricordi e dopo non riescono più a rialzarsi e andare avanti.

Per fortuna esistono alcune associazioni che aiutano le persone e i bambini come Samia. In queste organizzazioni i volontari compiono lavori differenti. Ogni lavoro può essere utile, ovviamente il mestiere di medico riveste un’importanza particolare ma qualsiasi attività svolta in ambito umanitario ha due requisiti particolari: il possedere un grande cuore e l’avere tanta volontà.

L’associazione Medici Senza Frontiere è presente per dare supporto, aiuto e sostegno anche a queste persone che, come Samia, sono nate in questa zona del mondo. Il loro scopo è di far crescere i cittadini, rispettando i loro diritti. A settembre una volontaria di questa associazione è venuta a parlare delle attività svolte agli alunni dell’IC Villanova Mondovì: “La nostra è un’associazione indipendente, cioè non finanziata da fondi pubblici o statali. Questo consente agli operatori di poter intervenire in molti paesi del mondo in caso di emergenza”.

Come vi finanziate?

I soldi che abbiamo a disposizione provengono da donazioni.

Dove siete attivi?

Lavoriamo in quasi settanta Paesi nel mondo, tra cui l’Etiopia e il Kenya.

L’incontro ci ha spinto ad approfondire alcune tematiche.

In seguito a gravi attentati a danno dello stesso personale medico, Medici Senza Frontiere, a partire dal 2013, per molto tempo non è stato presente nella Somalia di Samia. Fortunatamente, al termine del 2018, sono state riattivate le cure mediche in Somalia nella regione del Puntland, in collaborazione con il Ministero della Salute. A sostegno dei numerosissimi profughi somali, nel 2017 sono state riattivate le cure mediche nelle zone confinanti dell’Etiopia e del Kenya, nel campo profughi di Dadaab. Questo luogo accoglie migliaia di rifugiati somali, ma non è tutto semplice, anzi. Le condizioni igienico-sanitarie del luogo sono pessime: c’è poca acqua e  mancano i servizi igienici. Nel corso degli ultimi anni il numero dei rifugiati e degli emigrati in Kenya è aumentato sempre più. Per questo motivo il governo del Kenya, a partire dal 2014, ha deciso di intraprendere la costruzione di una recinzione al confine con la Somalia per fermare il passaggio dei profughi. Sono stati costruiti 5,3 Km di muro su una frontiera lunga 700 Km. Il governo kenyano inoltre ha dichiarato qualche anno fa di voler chiudere il campo profughi di Daadab, dove vivono 235mila persone. I volontari di Medici Senza Frontiere si sono opposti con forza a questa decisione, proponendo soluzioni alternative.

Sul sito dell’associazione è stato pubblicato un articolo intitolato “Dadaab to Somalia. Pushed back into peril”. L’articolo raccoglie le testimonianze e le interviste a 5470 rifugiati. Nel rapporto sono ben spiegate le varie conseguenze che la chiusura del campo profughi determinerebbe. Una delle più gravi sarebbe certamente costringere i rifugiati a tornare in zone di conflitto, dove le cure mediche sono assenti. Fortunatamente la chiusura del campo è stata reputata un’impresa “illegale” e, di conseguenza,  non è stata portata a termine. Il campo Dadaab continua ad esistere. Nonostante le mille problematiche che lo caratterizzano questo luogo rappresenta ancora per molte persone la vita e la salvezza.

In Etiopia le cose non sono molto diverse. La situazione sanitaria continua ad essere grave. In tanti soffrono a causa di epidemie di vario tipo. Inoltre sono molte le persone affette da una malnutrizione acuta, soprattutto giovani e bambini. È molto difficile rispondere ai bisogni della popolazione, specialmente per la distribuzione del cibo. Bisognerebbe aiutarli, non solo portando risorse umane ed economiche ma incentivarli a sfruttare le loro risorse locali e favorire la loro istruzione, costruendo scuole con insegnanti esperti ed edifici Un’altra cosa molto importante sarebbe fermare la guerra, anche se è l’impresa più difficile perché, in fondo, ormai neanche questi popoli in guerra sanno il vero motivo per cui combattono.

Fonti :

  • La parte di Samia, l’abbiamo trovata su Wikipedia e sul sito “Samia Yufus Omar, atleta olimpica morta tentando di arrivare in Italia”.
  • La parte sulla Somalia, sul sito di Medici Senza Frontiere nel rapporto delle news, nell’articolo “MSF riavvia le attività mediche in Somalia”.
  • La parte sul campo Daadab l’ abbiamo trovata  sul sito di MSF nell’articolo “ MSF costretta a chiudere i centri  di salute ed evacuare il personale”.
  • La parte sull’Etiopia l’abbiamo trovata sul sito di Medici Senza Frontiere nell’articolo “Risposta alle emergenze”.

Foto: sito MSF

di Airaldi Mattia, Ambrosio Marco, Anfossi Gaia, Kaur Ravneet, Ravera Sofia IC Villanova Mondovì, classe 2d