I traumi dei richiedenti asilo prima, durante e dopo la fuga dai loro paesi: un problema ancora del tutto ignorato

Il contesto

Le numerose crisi umanitarie degli ultimi anni, la persistenza di condizioni di guerra, la violazione sistematica dei diritti umani e la speranza di trovare condizioni di vita migliori hanno costretto milioni di persone a fuggire dai propri paesi, intraprendendo viaggi spesso molto pericolosi. Infatti la migrazione internazionale, pur non essendo un fenomeno recente, sta diventando la protagonista di uno dei più rilevanti eventi mondiali. Secondo alcune stime, oggi le persone in fuga nelle varie parti del mondo sarebbero oltre 65 milioni tra migranti forzati e richiedenti asilo. A gran parte dell’opinione pubblica sfugge che un’esperienza migratoria di questo tipo può aumentare notevolmente il rischio di danni alla salute fisica e mentale dei soggetti coinvolti. Molti dei rifugiati provengono da zone di conflitto o da stati fortemente repressivi e oltre ai traumi vissuti prima e durante la rotta migratoria, spesso sono soggetti anche a stress e sofferenze relativi alla condizione di esilio in una terra sconosciuta ed estranea. L’Italia, in particolare, come facile punto di approdo all’Europa dal mar Mediterraneo, da oltre vent’anni si confronta con questo fenomeno, che ha fatto registrare negli ultimi tempi una crescita notevole. Secondo i dati Eurostat i gruppi più numerosi di richiedenti asilo che hanno cercato protezione nel nostro Paese provengono da: Nigeria (21%), Pakistan (12%), Gambia (10%), Senegal (8%) e Bangladesh (7%).

A fronte dell’incremento degli arrivi e della saturazione dei posti all’interno dei centri governativi dedicati all’accoglienza e alla protezione dei richiedenti asilo, è stato necessario reperire delle strutture di accoglienza temporanee nei territori interessati denominati per questo motivo Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS). Essi sono sistemi emergenziali di accoglienza stabiliti in strutture di varia natura come alberghi, case privare, B&B, appartamenti affittati o edifici pubblici in disuso. Secondo i dati resi noti dal Ministero dell’Interno a dicembre 2015 erano oltre 100.000 i migranti ospitati nelle strutture di accoglienza disseminate sul territorio italiano, di cui più del 70% all’interno dei CAS. La permanenza in queste strutture dovrebbe essere limitata, ma a causa delle lentezze nel sistema di raccolta e analisi delle richieste di asilo, i tempi diventano particolarmente lunghi e stressanti per i richiedenti, che possono quindi risultare più vulnerabili a forme di disagio mentale.

L’indagine

Da luglio 2015 a febbraio 2016, l’associazione di Medici Senza Frontiere, ha condotto un’indagine  tra i richiedenti asilo residenti nei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) per studiare il loro stato di salute mentale e il loro accesso ai servizi territoriali. L’indagine ha quindi permesso di decifrare e capire i bisogni degli ospiti presenti nelle strutture di accoglienza e il giusto percorso assistenziale da intraprendere laddove necessario. Sul totale di 387 pazienti analizzati in questo studio oltre il 60% mostrava problemi di salute mentale, come ansia, psicosi o depressione, legati ad eventi traumatici subiti prima di lasciare il proprio paese di origine oppure durante il percorso migratorio.

 Il grafico rappresenta la tipologia di eventi traumatici subiti dai richiedenti asilo prima e durante la migrazione

Parallelamente alle esperienze traumatiche vissute nel proprio paese di origine, ma soprattutto durante la fuga, sono emerse difficoltà rilevanti legate alle condizioni di vita post-migrazione, in particolare alla mancanza di attività quotidiane, alla paura per il futuro, al timore per i familiari lasciati nel paese di origine, all’esistenza di barriere linguistiche e culturali e alla solitudine. Il richiedente asilo residente in queste strutture straordinarie spesso perde la concezione del tempo, con giornate che si susseguono tutte uguali, scandite soltanto dall’alternarsi dei pasti nell’attesa che il suo caso venga analizzato. Lo stato di incertezza e la situazione di attesa vissuta dal richiedente asilo, lunga a volte anche più di un anno, può portare gli individui ad uno stato di instabilità psicologica che si somma ai traumi subiti durante la migrazione.  Lo studio ha, quindi, evidenziato anche l’inadeguatezza del sistema di accoglienza che risponde solo in maniera emergenziale e senza un’adeguata preparazione. In molti casi, infatti, le strutture non dispongono di un sistema di supporto psicologico in grado di valutare la necessità di aiuto degli ospiti presenti nei centri, implicando una sottostima dei bisogni e della situazione in generale. Inoltre, i servizi sanitari territoriali molto spesso mancano di competenze e risorse necessarie e non sono ben in grado di riconoscere i segni del disagio tra gli immigrati e i richiedenti asilo, che hanno vissuto o assistito a terribili violenze.  Da sottolineare anche la quasi totale assenza di figure come quella del mediatore culturale che, se presenti, potrebbero aiutare a stabilire un contatto e a ridurre le, a volte abissali, distanze culturali tra i popoli.

Le riflessioni

Gli alti livelli di disagio mentale riscontrati tra i richiedenti asilo, la permanenza prolungata nei CAS e l’impreparazione dell’intero sistema di accoglienza, evidenziano la necessità di fornire risposte differenti ai bisogni di queste popolazioni, emigrate dai loro paesi di origine solo per sfuggire a violenze, guerre e regimi dittatoriali.  È dunque opportuno rifondare il sistema di accoglienza integrando i servizi sanitari locali, i dipartimenti di salute mentale, ma anche il mondo delle associazioni, le università e le amministrazioni pubbliche, in modo da poter creare dei team professionali dedicati, che possano fornire un supporto adeguato agli individui fin dal loro arrivo e garantire loro degli approcci terapeutici appropriati ed efficaci. Gli interventi descritti dovrebbero nascere non solo dalla necessità di garantire un diritto di asilo degno di Paesi civilizzati, come il nostro, ma soprattutto dalla volontà morale di recuperare dal punto di vista umano e sociale delle persone che in fondo sono state solo più sfortunate di noi, dando loro l’opportunità di avere una nuova prospettiva di vita.

Fonti:

Articolo di Miriam Li Pira, classe 3A a.s. 17/18, Scuola Media Statale di via Vivaio Milano

Foto: MSF