La diversità è una ricchezza. Una frase banale, direte voi, talvolta però, le cose più semplici sono le più preziose. Proprio perché siamo diversi, vorremmo essere alternative iniziando con un video.

Stop all'indifferenza.avi

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Un video sudato, poiché creato da noi con tempo e fatica il cui risultato è una soddisfazione inspiegabile a parole, ma prima di giungere alla spiegazione del nostro lavoro vorremmo fare alcuni cenni storici.

Cosa sta succedendo in Libia?
Fino alla seconda guerra mondiale la Libia era una delle colonie africane dell’Italia, il primo gennaio 1952 ebbe l’indipendenza. Si creò così il regno di Libia, una monarchia guidata dal re Idris di Libia, che però accusata di essere corrotta cadde nel 1969, per un colpo di stato guidato dal colonnello Mu’ammar Gheddafi. Quest’ultimo instaurò una dittatura, che durò fino al 2011 quando venne assassinato dai ribelli insorti (coloro che erano contro la dittatura). Dopo questo avvenimento si scatenò il caos più totale, che fece nascere una guerra civile. La Libia oggi è divisa in due parti. A ovest il governo di Tripoli, appoggiato dall’ONU con a capo Al Sarraj, a est il parlamento di Tobruk e l’esercito di Haftar. Nel 2015 ci fu un accordo di pace sostenuto dalle Nazioni Unite e Al Sarraj venne eletto presidente, però Haftar assetato di potere non si dava pace e diventò uno dei comandanti ribelli dell’est della Libia. Il Paese è spaccato a metà, la situazione attuale è quindi che il governo di unità nazionale riconosciuto di Al Sarraj ha il controllo della capitale Tripoli, il generale Haftar e il suo governo situato a Tobruk hanno il controllo di tutta la parte orientale della Libia, mentre al sud, nella regione di Fezzan, a dettare le leggi ci sono piccole tribù locali. Il governo di Tripoli, appunto, è riconosciuto dalla comunità internazionale, ma quello di Tobruk sembrerebbe avere alle sue spalle l’appoggio di: Egitto, Arabia Saudita e Russia. Dopo mesi di trattative e incontri il generale Haftar ha deciso di attaccare la capitale e di andare contro Al Sarraj, che rispose a sua volta all’attacco. E veniamo alla parte politico-economica della storia, quella degli interessi che ruotano attorno alla Libia. Interessi che si ripercuotono in diversi Paesi che vogliono acclarato un proprio ruolo in Libia. L’Italia è in primo piano con il trattato di Bengasi stipulato tra Roma e Tripoli durante la reggenza Gheddafi. Gli obiettivi sono quelli di preservare gli interessi energetici, con l’Eni impegnata ad estrarre il 70% del petrolio libico e il contenimento dell'emergenza immigrazione.
Non vorremmo dilungarci troppo per non sembrare troppo noiose poiché per quanto la storia possa essere affascinante, il messaggio che noi vogliamo dare non è di certo questo.
Come avrete notato dal video, ciò che sicuramente può suscitare un po’ di angoscia e disagio è la parte che racconta di ciò che accade nei campi di detenzione. E chi se lo sarebbe mai immaginato? Le persone che ora vengono accusate di rubare il lavoro e di “inquinare” il Paese, in realtà hanno passato un inferno, un inferno inimmaginabile, che nemmeno Dante può spiegarci perché probabilmente non si sarebbe mai immaginato che a distanza di 800 anni circa la società invece di progredire, sarebbe regredita.
Ciò che ha innescato in noi una sensazione di fastidio, quasi di rabbia, è stata la lettura di “Non lasciamoli soli” di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti. Essi riportano le testimonianze delle povere vittime che sono riuscite ad arrivare in Italia. Povere vittime si, ma sicuramente fortunate rispetto ai loro simili intrappolati ancora laggiù. Non dimentichiamoci di considerare che le testimonianze riportate, sono solo di coloro che sono riusciti nell’impresa di raccontare la loro storia, e diciamo storia per non dire tragedia. Gli ambulatori di MCR (Medici Contro la Tortura), Medici Senza Frontiere e Centro Astalli tentano di assistere e curare migliaia di migranti vittime di torture e abusi di ogni genere. È un compito molto difficile, a volte impossibile da portare a termine, poiché anche quando le vittime erano in Libia venivano curate e assistite da “medici” che riferivano ai torturatori i punti deboli psichici e fisici delle vittime affinchè la tortura diventi più pressante. I medici presenti negli ambulatori italiani rivolgono domande ai pazienti, proprio come facevano i medici libici, e data questa netta somiglianza spesso risulta difficile per le vittime raccontare l’accaduto.
Delle centinaia di storie narrate abbiamo deciso di riportarne alcune per farvi capire non solo quello che pensiamo noi di ciò che succede, ma ciò che pensano i diretti interessati:

  • Osedayne è una donna di ventitré anni che arriva dalla Nigeria. La ragazza teme di aver perso la memoria, fa fatica a dormire e pensa di aver preso l’AIDS in seguito a violenze sessuali subite assieme alla sua bambina di quattro anni che a causa del dolore è deceduta.
  • Maryam è una donna ghanese di ventisei anni che a causa di problemi è costretta a fuggire dal suo paese dove viveva con il marito. Durante il viaggio è stata violentemente picchiata a bastonate proprio sulla pancia, dove teneva in grembo un bambino. È stata costretta ad abortire al sesto mese di gravidanza, e a causa del dolore e ritornata nel Ghana dove lavorò assieme a suo marito come schiava per una anno per poi tentare nuovamente la fuga.
  • Seku, un liberiano di ventiquattro anni, è stato accusato dall’ Anti Terrorist Unit (ex forza paramilitare del governo della Liberia) di aver attentato alla sicurezza dello stato. Accuse che si riveleranno successivamente infondate ma che hanno provocato al povero ragazzo profonde cicatrici sul volto causate da soda caustica versta durante gli interrogatori.

Queste sono solo tre delle migliaia di storie che ognuno di loro ha passato, storie molto toccanti, con un inizio ma molte senza una fine. A molti di voi probabilmente la questione dei profughi dispiacerà e penserete che concretamente una soluzione non potete di certo crearla. L’unica colpa che le vittime hanno è di essere nate nel paese sbagliato dove al governo vi sono persone incapaci di stabilire una situazione pacifica. Ma la colpa è sicuramente anche dei leader europei che invece di cercare una soluzione concreta, scappano.
L’altro, l’estraneo, il profugo ci costringe a guardare noi stessi attraverso i suoi occhi –spiega il sociologo Bauman- vedendo qualcosa da cui vorremmo fuggire. Egli, in quanto estraneo, è un ’ incognita: non sappiamo cosa voglia e come agisca.
L’essere umano cerca sempre di fuggire ai pericoli che incombono, dopotutto è pur sempre un animale; ciecamente punta il dito verso persone che probabilmente svolgono un ruolo dinamico, quando invece ognuno di noi a colpa per qualcosa.
Sarà forse per questo che si vogliono chiudere i “muri”? Sarà per questo che non ci si vuole mescolare con le diverse culture? Non possiamo darvi noi la risposta, se non siete voi i primi a darvi una risposta per il vostro agire.
A volte ci viene da pensare che voi non meritiate tutta questa fiducia incondizionata. Persone che hanno sentito il nome Italia come se fosse un miraggio. La bellissima Italia dei Romani. Il cibo italiano, quasi fosse cibo degli Dei. Venezia, Napoli, Milano, la splendida Sicilia. Quasi ci dispiace che questi sogni siano illusi, non perché non siano reali ma semplicemente essi dimenticano che a fare l’Italia sono i cittadini, le persone, ognuno di voi. Purtroppo prevale un senso di discriminazione, di paura che in parte noi capiamo, ma non del tutto accettiamo. Non si può capire fino in fondo una persona poiché essa ha avuto una storia diversa, ognuno ha avuto una storia diversa, chi più complessa, chi meno, ma se non si prova a capire il passato degli altri allora le nostre parole sono buttate al vento, parole dette da ragazze sedicenni. Vi viene un po’ da ridere no? Cosa ne possiamo mai sapere noi che abbiamo solo 16 anni di ciò che succede nel mondo rispetto a voi? Non vi biasimiamo. Del resto vi siete creati un pensiero che noi non possiamo cambiare, ma forse possiamo contestare. Viviamo nella stessa società e nelle varie istituzioni pubbliche entriamo in contatto con diverse culture più di voi, si pensi alla scuola ad esempio dove dovremmo essere educati affinché si diventi dei buoni cittadini. Ma a scuola ci stiamo 6 ore al giorno dove prevale il pensiero dell’accettazione mentre nelle restanti 18 ore ognuno vive concetti differenti, quasi opposti. Potremmo definirlo quasi un ossimoro. E questo non è una colpa vostra. Se si dovesse cercare il colpevole probabilmente dovremmo scavare nella tomba di uomini deceduti centinaia di anni fa poiché del resto non si può pretendere che una torre sia dritta se la base è pendente. Nonostante un profondo rispetto verso le generazioni che ci hanno preceduto il nostro messaggio vorremmo rivolgerlo a noi. Noi giovani. Noi che siamo noi il futuro, ciò che siete oggi voi. Voi che avete fallito creando una società ingiusta dove nonostante le leggi vengano lette, a rispettarle sono pochi. Una società dove si vive di tensione. L’avete creata voi. Voi che tramandate ai vostri figli un pensiero che voi ritenete corretto ma che forse loro no. E allora abbiamo deciso di dire basta. Basta pensare solo a se stessi. Basta fare finta che tutto sia normale. Stop all’indifferenza!
Non possiamo pretendere che le cose cambino se non siamo prima noi a cambiare, nel nostro piccolo. Abbiamo scelto alcune frasi significative per noi che speriamo lo siano anche per voi.

“È cieco chi guarda solamente con gli occhi”
(Proverbio del Senegal)

Ciascuno dei volti degli immigrati che vediamo ogni giorno al telegiornale ha un nome una storia, un odore, un linguaggio, un sorriso, uno sguardo...lui, l'altro ha fatto un lungo viaggio e se lo ascolti, se usi i sensi, puoi sentire l'odore del mare, percepire il silenzio del deserto e scoprirci stupiti dalla potenza del coraggio e riconoscere il significato della dignità prima negata poi riconquistata. Per questo è cieco chi guarda solo con gli occhi!

“Chi non ha sofferto non sa condividere le sofferenze altrui”
(Proverbio Africano)

Questa frase è per molti, ma allo stesso tempo per pochi. Ognuno si porta dietro un bagaglio, una storia. Alcune più difficili e sofferenti di altre ma sicuramente tutte, hanno svolto un ruolo dinamico nella nostra crescita. Solo chi non vuole conoscere ed “aprirsi” non saprà mai cosa vuol dire soffrire e dunque solo chi non ha realmente sofferto, non riuscirà a comprendere la vera sofferenza.
Vorremo portare un esempio di donna che ha deciso di dare una svolta non solo alla sua vita ma a migliaia di vite; una donna che avuto il coraggio di far sentire la sua voce in un modo più alternativo e creativo. Stiamo parlando di Zehra Dogan. Questa donna è stata la direttrice di Jinha, agenzia di stampa curda femminista con personale tutto femminile, ed è reduce da 3 anni trascorsi nelle carceri turche per aver pubblicato un quadro da lei dipinto raffigurante la città curda di Nusaybin, situata al confine con la Siria, dopo il bombardamento dell’esercito turco. Nel 2016 Jinha è stata chiusa dai militari turchi, mentre la Dogan incarcerata. Durante la prigionia la trentenne giornalista, attivista e artista curda ha dipinto una serie di opere poi esposte di recente alla Tate Modern di Londra e da fine novembre 2019 al Museo di Santa Giulia di Brescia. “Per comporre le mie opere d’arte usavo la rucola, il mio mestruo e i miei capelli” racconta Zehra, che nonostante le atrocità che le venivano inflitte non ha mai smesso di credere nei suoi ideali di libertà e giustizia, proprio come dovrebbe fare ognuno di noi. Non smettere mai di lottare per se stessi ma soprattutto mai smettere di farlo per gli altri.

“Non seguire la strada, vai dove la strada non c’è per iniziare un sentiero”
(Proverbio Ashanti)

Ti sarà sicuramente capitato di sentirti inferiore agli altri e in quel caso avrai sicuramente cercato di essere simile e di percorrere la stessa strada ma non deve essere così. Non sentirti meno bravo/a o meno giusto/a solo perché non sei uguale ai canoni imposti dalla società; ognuno ha il suo percorso e quindi il suo sentiero che deve essere unico e diverso per ogni persona. Alla fine di questo sentiero ci sarà una conquista che si raggiungerà solo ponendosi degli obbiettivi e cercando in tutti i modi di raggiungerli. Sicuramente troverai degli ostacoli durante il tuo cammino che però non dovranno permettere di farti arrendere e allora, il sentiero che avrai costruito, si dividerà in più vie che però hanno lo stesso obiettivo comune. Solo allora capirai che non è tanto la destinazione ma il viaggio.
Questa frase l’abbiamo anche scelta pensando ai giovani, a noi, ai diversi. Ci sono tante teste diverse e tante personalità che però a volte sembrano uguali. A volte sembra che viviamo solo perché respiriamo ossigeno. E parliamo dei giovani ma anche di noi. Il non voler fare niente a 16 anni è impressionante in confronto agli anni totali della vita. Ed è questo che deve cambiare. Non tanto per fare felice gli altri e farsi dire “WOW”, ma per una soddisfazione personale nel aver fatto qualcosa di diverso che poi sia banale non importa perché nessuno ha il diritto di giudicarci se non noi stessi. Non facciamoci condizionare dagli adulti. Siamo noi artefici del nostro destino. La questione “immigrazione” di cui sentiamo tanto parlare non è altro che la prova di una società fallita; la storia dovrebbe insegnarci a non cadere negli stessi errori. E siamo noi che dovremo impedirlo. Le strade che costruiremo, piene di difficoltà, prima o poi si intrecceranno, ma una strada senza un pensiero fondato, è come se fosse senza l’asfalto, e per creare un pensiero dobbiamo conoscere le diverse culture, condividere le nostre e provare le nuove. E allora perché pensare al futuro quando potremmo farlo adesso?

Autrici: Zahira Berri, Amna Dhibi, Erna Berbic, Maria Elizabeth Bokossa. Classe 3^R dell' IIS Antonietti Iseo (BS)