“La vita senza libertà è come un corpo senza spirito” (Khalil Gibran).
Quando si pensa alle bambine, la nostra mente immagina subito un contesto felice, un’infanzia spensierata e l’ingenuità dolce che le caratterizza. Allo stesso modo, quando pensiamo a una sposa ci immaginiamo la giornata raggiante del matrimonio e la gioia di un’unione desiderata. Cosa succede se si uniscono le due parole “sposa” e “bambina”? Si crea una situazione triste e devastante che causa la perdita della magia che questi due nomi separati evocano. Ogni giorno, migliaia di bambine sono costrette a sposarsi, a rinunciare alla loro infanzia, alla loro possibilità di scelta, diventando nient’altro che oggetti per un uomo molto più grande di loro, che dispone della loro vita e del loro corpo a suo piacimento. Si tratta del fenomeno delle spose bambine, purtroppo ancora attuale e costantemente in crescita, soprattutto negli ultimi tempi di pandemia.
Ad oggi, le bambine coinvolte in questa triste crisi dimenticata sono circa 650 milioni e si stima che nel 2030 potrebbero essere 800 milioni. La frequenza di questi matrimoni è inimmaginabile, infatti si contano 33 mila spose bambine al giorno. Nella giornata del 14 Aprile 2014, ben 276 ragazze sono state rapite da una scuola nigeriana di Chibok per mano di un gruppo jihadista chiamato Boko Haram, già conosciuto per detenzione illegale di bambini sottratti con ricatti dalle famiglie e mantenuti in condizioni precarie, senza un’assistenza medica adeguata e con una limitata disposizione di cibo e di acqua. Alcune riuscirono a saltare giù dal camion e il numero di quelle portate via dal gruppo calò a 219. Furono costrette a trasferirsi in Paesi vicini, come il Camerun e il Sudan, per sposare un uomo o per essere vendute come schiave, perdendo definitivamente la loro spensieratezza e ritrovandosi immerse in un mondo di abusi e violenza.
Quasi un mese dopo questa tragedia, Boko Haram pubblicò online un video in cui il capo del gruppo, non ripreso insieme a loro, spiegò che alcune di queste studentesse erano state “liberate” dopo essersi convertite all’Islam. Minacciò che non sarebbero state rilasciate quelle non ancora “sottomesse”, ovvero convertite, se non fossero stati scarcerati tutti i soldati terroristi, definiti “fratelli”, detenuti dallo Stato nigeriano. Il governo espresse la sua decisione di non concedere alcuno scambio. Alla fine del video furono mostrate le immagini di 130 di queste ragazze coperte con il tradizionale hijab lungo fino ai piedi, riprese in un momento di preghiera, mentre recitavano il primo capitolo del Corano. Alcune cercarono di scappare, ma gli abitanti dei villaggi vicini, in supporto al gruppo jihadista, le riportarono, condannandole alla frusta.
Nel 2019, ben 119 ragazze sono riuscite a vedere la luce della libertà, trovando in alcuni casi un aiuto e un sostegno da parte di enti specializzati o dalle proprie famiglie. È stato possibile per loro trovare rifugio nel campus della American University of Nigeria, proseguendo con un reinserimento scolastico. Delle altre, sfortunatamente, non si è più saputo più nulla.
Tuttavia, in un articolo di Amnesty International, una diciassettenne ha spiegato che una volta tornata a casa ha ricevuto uno scarso supporto psicologico e ciò le ha impedito un normale rientro a scuola e un pieno reinserimento sociale. La ragazza ha raccontato la sua terribile esperienza di prigionia, nella foresta di Sambisa, presso un uomo violento: “Il [mio] perfido ‘marito’ mi picchiava sempre… Le mie attività giornaliere comprendevano la preghiera, cucinare se c’era del cibo, [e] andare a lezione di Corano. Non era permesso nessuno spostamento e non si poteva andare a trovare gli amici. È stata un’esperienza terribile e ho assistito a diverse punizioni: fucilazioni, lapidazioni o fustigazioni”.
Fortunatamente, le autorità locali sono costantemente in cerca di una soluzione, per salvare le povere vittime degli abusi che sono costrette a vivere nella nuova realtà di mogli di uomini che fanno di tutto, tranne che amarle. Nonostante siano stati presi importanti provvedimenti sulla questione, come l’istituzione della “Giornata internazionale delle bambine”, celebrata in data 11 Ottobre, rimangono moltissimi i Paesi in cui il fenomeno delle spose bambine non solo esiste, ma è ampiamente diffuso, e l’unica speranza rimane quella di riportarle su un cammino fatto di sogni e non di schiavitù.
di Sofia Marciano, Nicolò Navarra, Liceo Carlo Cattaneo, Redazione Giornalino
Fonti: La Repubblica, Il Corriere, Amnesty International, Il Sole 24 ore