Vivi un’esistenza agiata, ma una benda invisibile ti copre gli occhi: hai la scuola a due passi, eppure ti lamenti del peso dello studio, i genitori ti incitano a praticare uno sport, ma ti senti schiacciato dai ritmi incalzanti, guai se tua madre si presenta a tavola con un piatto di legumi, ti fanno inorridire.
Inaspettatamente, durante l’incontro con gli ospiti di una cooperativa sociale, cambia la prospettiva che hai del mondo: gli occhi di un ragazzo poco più grande di te, dicono più di quanto ti stanno raccontando le parole; segni quasi impercettibili del viso sollevano le tende di un sipario e ti si offre alla vista una realtà che ignoravi o che accettavi passivamente poiché impotente di fronte a certe situazioni.
Eppure A. esiste, ha 21 anni, viene dal Gambia e con il bagaglio che si porta dietro può insegnarci molto di più di un testo di latino o di un libro di chimica. Il suo spaccato di vita cruda, la sua corsa ad ostacoli per la sopravvivenza, le sue tragedie, ridimensionano la nostra quotidianità, ci fanno apparire piccoli e ci fanno vergognare delle nostre preoccupazioni.
Il Gambia è uno dei paesi più poveri e meno sviluppati dell’Africa occidentale: A. per motivi economici nel 2012 ha dovuto lasciare il suo paese, la scuola e la sua famiglia. Egli, dunque, decide di recarsi in Libia da suo zio, con la speranza di trovare un lavoro. Per arrivare alla sua meta affronta un viaggio terribile attraverso Senegal, Mali, Burkina Faso, fino alla tappa più dolorosa, il Niger: ad Agadez di giorno il deserto è fuoco, la vegetazione è arsa, di notte invece il freddo penetra nelle ossa. Il ragazzo è tormentato dalla paura di essere abbandonato lì, poiché spesso capita che i trafficanti di esseri umani raggirino i “viaggiatori”, si impadroniscano dei soldi e li abbandonino nel deserto, nel nulla assoluto.
Giunto finalmente nel villaggio libico dove abita lo zio, ha la possibilità di imparare ad usare il computer e dimostra di essere molto capace, per questo lo zio gli procura un lavoro da un suo amico che vive in una città più grande. A. deve affrontare di nuovo il deserto, verso Sabha. La città, capoluogo del Fezzan, è un punto strategico della Libia, attraverso cui passa ogni genere di commercio, dal contrabbando di armi a quello di droga, dalle carovane “legali” alla tratta di esseri umani. Durante il viaggio A. vive un’esperienza che gli segna la vita e che gli fa comprendere di quanta malvagità è capace l’uomo: il suo gruppo raccoglie nuovi compagni, due fratelli in precarie condizioni, abbandonati da giorni dai trafficanti; uno dei due è arrivato perfino a mangiare del dentifricio dalla disperazione, durante il viaggio l’altro purtroppo muore.
Sabha, a causa degli interessi economici che vi si concentrano, è un luogo rischioso, continuamente agitato dalla guerra tra i vari gruppi locali che si contendono il potere. A. è costretto a ripartire e da questo momento la sua odissea si snoda da un luogo all’altro, fino alla costa, a Tripoli, per tentare, come tanti disperati, di riuscire a salire su una delle famigerate “barche della speranza” dirette in Europa.
Grazie all’aiuto economico del suo ultimo datore di lavoro, A. riesce a pagare il prezzo della tratta; gli scafisti, per caricare quanto più possibile il gommone, fanno mangiare una sola volta al giorno i passeggeri, per farli dimagrire velocemente: guai a lamentarsi, creare problemi, i trafficanti non si fanno scrupoli a sparare. Tenere in stato di malnutrizione o denutrizione i migranti, purtroppo, è una pratica comune anche nei centri di detenzione legali della Libia.
La tragedia è in agguato, il carico eccessivo di persone fa imbarcare acqua; molti passeggeri, non sapendo nuotare, svuotano taniche di carburante, per utilizzarle come galleggianti, ma ingenuamente si procurano la morte, poiché, appena caduti in mare, agitandosi per rimanere in superficie, bevono l’acqua ingurgitando anche la benzina.
A. è terrorizzato, è circondato dalla disperazione e all’orizzonte c’è solo l’infinita distesa di mare e di cielo color della notte.
Il miracoloso arrivo di un elicottero rappresenta per lui la salvezza, poiché il naufrago fa di tutto per essere notato. Viene dunque soccorso da una ONG e portato a Napoli.
Il suo lungo viaggio si conclude nel 2014, a due anni dall’inizio.
A. fa parte da qualche anno di una cooperativa sociale di Napoli che sostiene percorsi di cittadinanza, di accoglienza e di orientamento al lavoro, in particolare per persone vittime di tratta e minori stranieri non accompagnati; studia scienze umane in un istituto superiore, di sicuro non si lamenta dello studio, ama fare sport, non protesta per un pranzo non desiderato.
Lui è solo ma ha negli occhi lo sguardo del vincente e di chi ha promesso a sé stesso di farcela: nonostante il dolore visto e vissuto, lo scopo che lo spinge ogni giorno ad impegnarsi e vivere con pienezza è la volontà di aiutare i suoi fratelli africani, reduci da viaggi e traumi che ha vissuto in prima persona, ad integrarsi nel loro nuovo paese.
di Mariapia Terracciano, Raffaele Fiengo, Francesco Pio Sorrentino, Teresa Scognamiglio, Davide Tonello, IS “Tilgher”, II A liceo scientifico.