Il disastro dell’ebola. Trentatré morti per la nuova epidemia di virus Ebola nella provincia Kivu Nord. Terrore a Mangina l’epicentro; allestite più unità di isolamento. (2018 nella Repubblica Democratica del Congo)
Il 1° agosto 2018, il Governo della Repubblica Democratica del Congo (RDC) ha annunciato che i risultati di laboratorio preliminari indicano una nuova epidemia di virus Ebola (*) nella provincia Kivu Nord. L’annuncio è stato diramato poco più di una settimana dopo che il Ministero della Salute aveva dichiarato conclusa l’epidemia di virus Ebola nella provincia Equateur, all’estremità occidentale del paese, a circa 2.500 km di distanza da Kivu Nord.
Il 3 agosto 2018, sono stati segnalati 43 casi di malattia da virus Ebola (13 confermati e 30 probabili), tra cui 3 operatori sanitari. Trentatré persone sono decedute (ovviamente i dati epidemiologici sono variabili). “Il nuovo focolaio nel nord del Kivu – spiega Monica Corna, cooperante di Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo) che da 16 anni vive nella RDC – non è lo stesso ceppo di quello equatoriale, ma molto più aggressivo. L’epidemia si sta espandendo molto rapidamente con tasso di mortalità che si aggira attorno al 67%”. Geograficamente, i casi sono localizzati in 5 zone sanitarie nella provincia Kivu Nord e in una zona sanitaria nella provincia Ituri. È già stata allestita un’unità di trattamento nella città di Mangina, epicentro dell’epidemia, con 30 posti letto in tende di isolamento; un’altra unità di isolamento è stata allestita a Beni, città di 400mila abitanti a 45 minuti di distanza.
Medici Senza Frontiere (MSF) si sta occupando anche della prevenzione e del controllo dell’infezione nei centri sanitari dell’area circostante. Anche l’Unicef ha mobilitato i suoi team per provare a contenere la diffusione della malattia e proteggere i bambini. Acqua, kit igienico-sanitari e di sensibilizzazione verranno inviati alla zona colpita nei prossimi giorni, tra cui 300 termometri laser e 2000 kg di cloro per il trattamento dell’acqua. “Fondamentale è promuovere l’accesso all’acqua potabile, adeguati servizi igienici e corrette pratiche igieniche per aiutare a prevenire l’ulteriore diffusione della malattia, fornendo supporto psicosociale ai bambini e alle famiglie colpite”, spiega Rotigliano.
Il villaggio al centro dell’attuale epidemia è remoto via terra, ma si trova su un fiume importante che dà accesso ai principali centri abitati attraverso la via d’acqua. E le relazioni fra le popolazioni che vi abitano sono fonte di preoccupazione.
Quale ruolo svolge Medici senza Frontiere all’interno di questa epidemia di peste?
Medici senza frontiere è un’organizzazione internazionale non governativa, fondata il 22 dicembre 1971 a Parigi da medici e giornalisti, tra cui Bernard Kouchner, politico e medico francese. Essa si prefigge lo scopo di portare soccorso sanitario ed assistenza medica nelle zone del mondo in cui il diritto alla cura non è garantito. In particolare, le attività spaziano dalla risposta alle emergenze, come terremoti, tsunami e uragani, ai conflitti armati, come in Afghanistan o Iraq, dove vengono costruiti ospedali, supportati quelli esistenti o allestiti punti medici vicino alle linee del fronte. I pazienti di MSF sono solitamente persone in fuga da guerre e povertà, gruppi etnici emarginati, malati affetti da patologie trascurate, persone intrappolate in aree urbane con alti tassi di violenza. MSF interviene in caso di epidemie di morbillo, malaria, meningite, febbre gialla o colera curando i malati ed effettuando campagne di vaccinazione di massa. MSF gestisce inoltre programmi per l’HIV/AIDS e la tubercolosi, e cura le malattie tropicali dimenticate.
Repubblica del Congo: nuova fase dell’epidemia di Ebola:
Come fa a diffondersi così rapidamente questo virus?
“Il problema più grande – spiega Corna – sono le morti non conosciute. È difficile isolare le persone che sono entrate in contatto con il morto. In questi casi non sanno di essere infetti e continuano a trasmettere il virus”. Uno dei momenti più pericolosi sembra essere il rituale di preparazione del cadavere. Per tradizione infatti i corpi devono essere lavati, ma proprio attraverso questa pratica è possibile infettarsi. Se nelle città la campagna di profilassi sta portando a buoni risultati, nelle zone rurali la situazione è decisamente più complicata. È difficile far capire alla popolazione che per esempio la cerimonia tradizionale di preparazione del cadavere può essere fatale si devono combattere delle tradizioni molto radicate e l’instabilità politica rende l’azione sempre più problematica.
Un ulteriore elemento che favorisce la diffusione di questo virus, spiega Peter Piot direttore della London School of Hygiene and Tropical Medicine, che ha fatto parte del team che scoprì il virus nel 1976, sono gli animali. “A causa delle sue vaste foreste, la RDC è un serbatoio del virus, il che rende il paese particolarmente vulnerabile alle epidemie di Ebola”, ha dichiarato Piot. “Talvolta le persone che vivono in queste zone rurali vengono a contatto con animali infetti e inizia il ciclo di trasmissione.” Alcuni esperti sospettano inoltre che la deforestazione, essendo la Repubblica Democratica del Congo per gran parte del territorio foresta, possa essere un fattore che favorisce l’incontro fra animali infetti e persone, quando vengono abbattuti gli alberi o macellati pipistrelli infetti come cibo.
La situazione politica aiuta?
Altro grande problema che permette all’ebola di espandersi maggiormente, è la situazione politica. Gli spostamenti di persone causati dalle precarie condizioni politiche del Nord Kivu non fanno altro che complicare il quadro già difficile di un paese con un sistema di strutture sanitarie non competitive. Guerre, fame e corruzione spingono molti abitanti della regione (una delle più popolose della RDC) a spostarsi e quindi aumentare le possibilità di allargare il raggio d’azione del contagio; una situazione esasperante che ha portato alcuni abitanti di Beni a rivoltarsi contro gli stessi operatori sanitari delle ONG minacciandoli e rendendo ancora più difficile il loro lavoro sul campo. Per ovviare a questo problema, gli inviati sul campo delle ONG stanno cercando di sensibilizzare la popolazione con una serie di informazioni che aiutano a tenere comportamenti igienico sanitari corretti proprio perché non si diffonda un clima di insicurezza e di paura.
Nell’ultimo focolaio della RDC, “è preoccupante che dei 21 casi segnalati finora, 17 siano stati mortali. Questo mi fa pensare che questa sia la punta dell’iceberg. Ma quanto sia grande l’iceberg in questo momento, è troppo presto per dirlo. È opportuno prendere sul serio questo aspetto e dare una risposta decisa”, conclude Bausch.
(*) Il virus Ebola è un agente patogeno zoonotico, perciò i vettori sono stati segnalati essere “varie specie di pipistrelli della frutta … in tutta l’Africa centrale e sub-sahariana”. Sono state individuate evidenze di infezione nei pipistrelli attraverso analisi molecolari e sierologiche, tuttavia il virus non è stato isolato nei pipistrelli. Gli ospiti finali sono gli umani e le grandi scimmie che si infettano attraverso il contatto con i pipistrelli o tra loro. Il sintomo principale di questo virus, per gli umani, è una febbre emorragica con un tasso di letalità molto alto. Il virus viene trasmesso attraverso il contatto con i fluidi biologici di un soggetto infettato, che sia umano o animale, e ha un periodo di incubazione di 30 giorni. L’infezione porta a sviluppare una febbre emorragica e altri sintomi quali cefalea, mialgia, dolori addominali e astenia. Successivamente i sintomi si aggravano. Tra i primi sintomi e la morte intercorrono 10 giorni circa. Ad oggi, per la cura dell’Ebola non esistono farmaci specifici.
di Davide Giugliarelli, Marco Regni, Giorgia Bugaro, Viola Regini, Matilde Polenta, IIS Savoia Benincasa 3AS