Diritti, problemi e minacce dei popoli indigeni

In Colombia da svariati anni le tribù locali si trovano in una situazione di pericolo a causa della presenza di gruppi armati illegali che minacciano la loro esistenza. Lo sfruttamento e la violazione dei diritti di queste tribù potrebbe essere risolto dal Governo Nazionale, nel quale queste tribù ripongono speranze da tempo.
I responsabili di queste crisi umanitaria sono principalmente 3: la guerriglia, i paramilitari e l’esercito. Tuttavia coloro che subiscono le ingiustizie denunciano raramente ciò che gli viene inflitto, nonostante siano gli unici che
potrebbero ufficializzare il problema. Per questo motivo, sebbene si sappia che le vicende siano causate soprattutto dai fattori elencati, nessuno può essere incolpato.
Come si fa, quindi a fermare un problema che per gli organi civili è invisibile?
I più frequenti reati di cui i popoli indigeni sono vittime sono l’omicidio e il desplazamientos.

A questo punto è necessario soffermarsi per chiedersi:
E se tu fossi stato un indigeno?
Sicuramente la tua vita sarebbe stata differente rispetto a quella che stai vivendo ora.
Immagina di svegliarti ogni mattina senza aver diritti che proteggano le tue condizioni di vita.
I popoli indigeni sono ad alto rischio di estinzione.
La presenza di gruppi armati legali e illegali nei loro territori li ha costretti a cambiare il loro stile di vita tradizionale, a fare di loro delle vittime di deportazione forzata, intimidazioni, uccisioni o nel migliore dei casi costretti a vivere in spazi sempre più limitati e controllati.

Non godono di nessun diritto sociale, economico e culturale e devono sopportare malattie nuove per loro, senza nessuna assistenza sanitaria di base.
I popoli indigeni minacciati maggiormente sono: i Nukak Maku, i Guayaberos e i Sichuan.
Le violazioni di questo tipo hanno luogo, e sono avvenute, anche con tanti altri popoli indigeni, costretti a lasciare le loro terre e trasferirsi.

Un altro esempio di vittime di questa crisi crisi sono i desplazados, i quali vivono ai margini delle grandi città per sfuggire a lotte armate, minacce, scomparse, omicidi, massacri. Molti hanno subito, nelle loro terre, anni di prepotenze e umiliazioni da parte di narcos e paramilitari, costringendoli a vivere di stenti in baracche di periferia. Dopo che i loro figli sono stati reclutati con la forza dalle forze armate, dopo che i loro terreni sono stati occupati e i luoghi sacri profanati. Dopo che le loro donne hanno subito violenze e abusi sessuali, dopo che sono stati perseguitati e arrestati per le loro denunce.
In sostanza, la Colombia vive in uno scenario di guerra non dichiarato, a testimoniarlo, il macabro elenco quotidiano di omicidi ai danni di leader indigeni e delle organizzazioni sindacali, ambientaliste e popolari, oltre all’attentato dello scorso 17 gennaio a Bogotà, quando un attacco kamikaze contro la Escuela de Policía General de Santander ha provocato almeno 10 morti e 65 feriti.
Nel solo biennio 2017-2018 in Colombia sono stati assassinati 426 leader sociali e attivisti per i diritti umani e, nei primi giorni di gennaio 2019, i caduti erano già 11.
Chi abita la crisi, chi vive i problemi purtroppo non denuncia nè le loro problematiche né coloro che le causano. Tuttavia, alcuni di questi indigeni hanno creato delle organizzazioni: quelle del Awà e quella del Cauca, la quale essendo nata nel 1971 è la più antica della Colombia. Queste organizzazioni hanno cercato di raccogliere testimonianze in occasione della visita del relatore indipendente delle Nazioni Unite per i popoli indigeni.
Ad aprile del 2009 si è svolto il congresso regionale del CRIC, dove si sono trattati argomenti riguardanti i risultati ottenuti in questo ultimo anno di mobilitazioni del movimento indigeno del Cauca e le problematiche che ancora ad oggi vengono vissute in questi territori.

Sono stati più di 15.000, gli indigeni che si sono riuniti per reclamare, ancora una volta, al governo colombiano di rispettare gli impegni presi e di dare effettività e compimento agli accordi stabiliti tra il movimento indigeno e il governo.
Adesso si attende, dal ministero dell’agricoltura, una risposta a ciò che riguarda la concessione delle terre alle comunità indigene del Cauca. Degli 8 milioni di ettari promessi ne mancano ancora 4 milioni e le strategie messe in atto dal governo come l’eccessiva burocratizzazione per ottenere le terre, rendono difficile l’adempimento degli accordi, continuando a dimostrare un atteggiamento discriminatorio verso i popoli indigeni.

Le richieste delle organizzazioni, tuttavia, sono state molto chiare: la restituzione delle terre originarie, l’ampliamento, il risanamento, e l’inserimento della titolarità delle terre nella costituzione colombiana.
Tali richieste prevedono ovviamente la dimostrazione di una volontà politica da parte del governo colombiano attraverso il riconoscimento del diritto alla vita, all’autodeterminazione e quindi alla gestione delle terre delle popolazioni indigene.

Oggi i 200.000 indigeni del Cauca vivono in soli 160.000 ettari di terra. Sono le uniche aree che consentono il mantenimento e la conservazione delle zone del Paramo, delle lagune e delle zone protette. Ecosistemi ritenuti territori sacri e pertanto inviolabili, perché ricchi di risorse idriche, fonti di vita per l’intero pianeta.

Tuttavia, il governo colombiano emana leggi come la ley de paramos e la ley dehumedales, che vietano l’accesso in queste aree per promuovere politiche di conservazione della biodiversità, legittimando lo sfollamento delle popolazioni indigene.
In questi territori, inoltre, si sta verificando un aumento del conflitto, dovuto alla presenza di forze armate legali ed illegali.

La politica di “sicurezza democratica” portata avanti dal governo Uribe, aumenta il grado di disgregazione sociale. Se i finanziamenti, per sostenere la politica di sicurezza democratica del governo, fossero stati investiti in servizi e ricostruzione del tessuto sociale, magari si sarebbe visto un miglioramento delle condizioni di vita.
Il fenomeno di militarizzazione appoggiato del governo statunitense e la conseguente costruzione di basi militari in Colombia, rispondono ad un’esigenza di imposizione di politiche economiche a livello nazionale e la necessità di un posizionamento nella sfera internazionale.
Ora, dopo essere andati alla scoperta dei popoli che abitano la Colombia, gli indigeni, dopo aver compreso i problemi che gravano su di loro, dopo esserci messi al loro posto, chiediamoci:

Cosa possiamo fare noi?

Di matteo garofoli, giorgia bellagamba, chiara paoloni, elena lucchetti, michele mariotti, IC SAVOIABENINCASA 3As

Colombia: nonostante il processo di pace i livelli di violenza sono ancora altissimi – Medici Senza Frontiere Italia

Nonostante la fine del conflitto con le FARC-EP, la violenza rimane un grave problema in gran parte del Paese. Lo denuncia un rapporto MSF che mostra come l’aumento della presenza e dell’influenza di organizzazioni criminali e altri gruppi armati abbia portato a un alto numero di minacce, omicidi mirati, rapimenti, sparizioni, molestie, estorsioni e restrizioni ai movimenti, con un impatto significativo sulla salute mentale e fisica delle persone.