L’Iran è un Paese in cui i diritti delle donne sono praticamente inesistenti.

Con la “rivoluzione islamica” il regime di Khomeini nel 1979 comincia ad emanare una serie di misure restrittive della libertà delle donne come, l’imposizione di coprire con una veste lunga tutto il corpo, al di fuori delle mani e indossare lo hijab, un copricapo femminile, per coprire i capelli. Queste misure sono legate all’idea che il corpo della donna sia l’incarnazione del male, della seduzione e del vizio.

Nel 2018 la situazione non è ancora cambiata e, proprio per questo, le donne iraniane, per protesta, ballano per strada, senza velo, riprendendosi e condividendo i video rivoluzionari sulla rete, rischiando, così, di essere arrestate. Lottano per la libertà, la libertà che spetta loro di diritto, la libertà che viene loro negata, sotto un regime dove i diritti umani non sono rispettati e vengono calpestati.

Secondo la relazione annuale dell’UE, sono infatti pochi i progressi dei diritti delle donne compiuti in Iran dal 2016. Per esempio, una questione riguarda le spose bambine.

Come possiamo vedere, questo scioccante grafico mostra il numero dei matrimoni delle 15enni iraniane, che, dal 2005 al 2016 sono stati 457mila, con un picco massimo nel 2011, 43.499.

Le ragazze spesso vengono maltrattate dai coniugi, come nel caso di Zenaib Sekaanvand.

Siamo nel 2011, in Iran, quando una ragazza di soli 15 anni viene costretta a sposarsi con un uomo di nome Hossein Sarmadi. Dopo due anni di abusi, violenze e soprusi subiti da parte del marito, la ragazza prende la drastica decisione di ucciderlo, non avendo ricevuto alcun tipo di aiuto, nonostante le numerose denunce. Ma la giustizia, a favore di una cultura maschilista, ha condannato Zenaib alla pena di morte. Amnesty International è intervenuta, mobilitando e sensibilizzando le voci di tutto il mondo e sporgendo denuncia contro un fatto così grave, attraverso manifestazioni a favore dei diritti umani.

In Iran, come sicuramente in altri Paesi, i diritti delle donne vengono trascurati e sminuiti. Proprio per questo è nostro dovere farci sentire e aiutare.

Fortunatamente ci sono associazioni come Amnesty International e Medici Senza Frontiere, che combattono ogni giorno per ingiustizie come queste.

di Nicole Massenz, SSPG “C. Andreatta” di Pergine Valsugana (TN)

FONTI

Wikipedia, TrueNumbers, IlFattoQuotidiano, Il Messagero, Il Giornale