Un viaggio di cui non si parla facilmente, ma che entra nel cuore di chi lo ascolta
E' incredibile pensare quanto l’umanità abbia viaggiato, quante esperienze abbia raccolto nel corso dei secoli, quanto abbia imparato; è ancora più incredibile il fatto che quando le persone devono scappare, fuggire, o semplicemente cambiare stato, i paesi che dovrebbero accoglierli si rifiutano di farlo.
Chissà quanto hanno viaggiato, come, perché, se hanno avuto paura. Noi la domenica stiamo in panciolle sul divano e loro magari, se hanno fortuna, possono tentare il tutto per tutto e cercare di arrivare in Europa. Crediamo che sia una noia andare a scuola e per loro sarebbe meglio di un regalo di compleanno. Anche se, contrariamente a quanto si possa pensare, l’Africa non è il continente con più emigrati, infatti gli spostamenti non sono sempre motivo di povertà o guerre. Nel 2015, dei 244 milioni di migranti presenti nel mondo, il 43% è nato in Asia, il 25% in Europa, il 15% in America Latina/Caraibi, mentre solo il 14% proviene dall’Africa (UNDESA, 2016). Si minimizzano però le atroci sofferenze, la paura di essere rintracciato dai tuoi potenziali assassini che alcune persone arrivate qui hanno avuto.
Per capire però quello che realmente succede in quei territori così marchiati bisognerebbe trovare delle persone che hanno viaggiato in quel modo, che magari non ci si aspetterebbe di sentire. Ecco due testimonianze che provano l’inimmaginabile viaggio che molte persone intraprendono.
Il primo viaggio di cui parliamo è quello di Zié, che è partito dalla Costa d’Avorio ed è arrivato in Italia passando dal Grande deserto, alla Libia ed infine prendendo un gommone che lo ha portato in Italia. Questo viaggio è durato circa un mese, partendo l’undici maggio del 2016. <> gli chiediamo; <>
Già, perché in Costa d’Avorio la politica è particolarmente complessa. Lì infatti ci sono diversi partiti politici come l’F.P.I. (Front Populaire Ivorien), un partito politico con a capo Gbagbo, attualmente trattenuto in Belgio; secondo Zie, la sua politica era positiva per il paese, colonizzato dalla Francia e ricco di materie prime. Per il nostro intervistato, tutto però inizia nel 1960, quando la Costa d’Avorio dichiara la propria indipendenza dalla Francia e c’è una Costituzione scelta dal popolo, anche se il paese colonizzatore sceglie ancora il presidente di quello colonizzato.
Il Burkina Faso si è alleato con la Francia e la Costa d’Avorio si è divisa in due: la parte centro-settentrionale e quella centro-meridionale, quest’ultima governata da Gbagbo. Dal 2002 fino al 2010 ci sono state pesanti e devastanti guerre che hanno ucciso tanti innocenti. Così l’ F.P.I. ha deciso di rifare le elezioni, alle quali si è ripresentato Gbagbo. Quest’ultimo vince le elezioni, ma la Francia non gli concede il titolo di capo dello stato, perché l’eletto non era d’accordo con l’economia francese, più influente di quella ivoriana. La guerra ha di nuovo preso piede fino a che non hanno imprigionato Gbagbo.
Dopo che gli oppositori dell’ F.P.I. gli hanno dato alle fiamme la casa, Zié è scappato dalla Costa d’Avorio rifugiandosi in Ghana, dove vivevano i suoi genitori. Pensava che però sarebbe tornato all’università così da terminare gli studi, ma non è stato così. Infatti ha dovuto seguire degli altri corsi privati. Nel frattempo ha fatto delle manifestazioni in strada e hanno tentato di ucciderlo, ma lui si è salvato, incominciando il suo lunghissimo viaggio fino in Libia. Arrivato nel territorio libico, alcuni locali, non ben identificati, lo hanno trasportato in cella per ben 8 mesi: senza cibo né acqua. Lui e altri suoi compagni di prigione andavano nei campi a dare manodopera gratis, così uno dei proprietari del campo di prigionia li ha aiutati a raggiungere la costa italiana. Dopo due giorni su un gommone e due su un autobus è arrivato in Valle d’Aosta. Ora ha un’occupazione: fa l’operatore socio-sanitario, si occupa di curare le persone non autosufficienti nei bisogni primari (come lavarsi, vestirsi, mangiare…).
La seconda esperienza raccolta è quella di un ragazzo maliano, Siaka. Il viaggio che quest’ultimo ha intrapreso prima di arrivare, ha fatto tappa in Algeria prima di dirigersi fino in Libia e da lì salpare per arrivare in Italia. Siaka è dovuto fuggire dal Mali per via di un colpo di stato militare nella Kati del 2013. Il presidente maliano in carica a quel tempo è stato spodestato dal militare Sanogo, così i ⅔ del paese sono stati occupati dagli islamisti che hanno reso quel territorio invivibile; hanno ucciso giornalmente molte persone, e queste ultime hanno vissuto nell’ansia di morire da un momento all’altro. Di conseguenza Siaka è stato costretto a partire in Algeria, dove ha incontrato degli altri ragazzi diretti in Libia, che ha seguito, per poi lasciare il continente africano; lì però è stato rinchiuso in cella dai militari libici. Prima che Siaka se ne andasse però, i Libici sono entrati in Mali passando per il Niger perché avevano promesso al capo dello stato maliano di non fare del male a nessuno, ma non è stato così; infatti hanno portato le armi e hanno cercato separare in due il Mali. Hanno iniziato assaltando una caserma e uccidendo i 72 militari all’interno. Ogni giorno avanzavano per raggiungere la capitale Bamako, ma non sono entrati tra le sue mura grazie all’intervento dei francesi che li hanno bloccati a Konna. A questo punto i militari maliani, scontenti del loro presidente, sono usciti fuori controllo e quest’ultimo è scappato, così è salito al potere Sanogo. Il nuovo capo dello stato ha guidato la rivolta dei maliani ribelli, creando il caos. In questa situazione di destabilizzazione gli islamici ne hanno approfittato per occupare i ⅔ del paese. Alla fine la Francia ha obbligato Sanogo a ritirarsi per lasciare il posto a Traoré, che dopo le elezioni ha messo in prigione Sanogo. Quando sono arrivati i francesi, essi non li hanno combattuti, al contrario, li hanno sostenuti, ma per liberare degli ostaggi francesi. Siaka è rimasto in questa complicatissima situazione politica fino al 2014, anno in cui è avvenuto il colpo di stato. Gli domandiamo se ha chiesto un visto per l’Europa e lui ci risponde: <>, lui prontamente racconta della prigione in Libia che è durata circa due anni. <>
Finalmente, dopo aver preso un gommone è arrivato in Italia, a Lampedusa, poi, in base alla ripartizione dei migranti, è stato trasferito in Valle d’Aosta.
Queste sono due storie di ragazzi da ammirare dal profondo del cuore. Tutte le emozioni vissute nel periodo del viaggio probabilmente li hanno segnati profondamente, ma nonostante tutto, loro continuano ad essere loro stessi, è meraviglioso.
di Calipso D'Este Scuola secondaria di primo grado San Francesco Aosta, 2° C