Dopo più di due anni di proteste, Tripoli ha finalmente ascoltato la voce delle donne che chiedevano di essere risarcite per le brutalità subite durante le rivolte del 2011.

Lo Stato ha accettato un decreto, che prevede cure e pensioni per le vittime di abusi. La Libia ha deciso di adottare un provvedimento per risarcire le migliaia di donne violentate e abusate. Stando alla nuova legge, già entrata in vigore, le donne vittime di violenza avranno diritto ad una pensione mensile e a cure mediche. Inoltre, potranno scegliere se studiare all’estero o rimanere in patria, saranno assistite legalmente contro i loro aggressori e godranno di facilitazioni nei concorsi per lavorare nella pubblica amministrazione. Nel decreto c’è spazio anche per i bambini nati dalle violenze sessuali, che verranno protetti e, nel caso la situazione lo rendesse necessario, ne sarà facilitata l’adozione. Il governo ha accettato una sentenza, che tutela le vittime di stupro durante la guerra di liberazione in Libia, riconoscendole come vittime di guerra. Queste donne sono deboli e necessitano di assistenza, diritti e risarcimenti. Il primo ministro e politico della Libia, Zeidan, ha sottolineato l’importanza di questa nuova legge come “unica possibilità di riconciliazione nazionale”.  

Lo stupro è un crimine che ancora in molti Stati del mondo non possiede valore giuridico e politico. Da questo punto di vista l’iniziativa di Tripoli potrebbe essere un primo passo verso la sensibilizzazione sul tema della violenza sessuale e del risarcimento di quelle donne che, troppo spesso, come in Mali e in Siria, sono state le prime vittime della guerra.

Una delle donne testimone di questa violenza è Enana Damlash, una donna proveniente dalla Etiopia, rifugiata attualmente in Italia. La sera prima che la imbarcassero su un gommone malandato a Tripoli, i libici avevano deciso di portare via con loro una bambina di sei anni, strappandola alla madre che supplicava pietà, implorando loro che non gliela portassero via. Per tutta la notte la piccola fu violentata dai custodi e quando fu restituita alla madre era irriconoscibile: “Aveva gli occhi bianchi, senza colore, era priva di coscienza, piena di lividi, ferita e sanguinante”. Enana racconta che lei e le altre prigioniere avevano ripulito il corpo della piccola con i propri vestiti. “La bambina sembrava morta, ma respirava piano. Sua madre era ormai completamente impazzita e dalla disperazione si graffiava il proprio volto e il corpo, piangeva e si strappava i capelli”. Enana provava tanta pietà per la madre, che era quasi riuscita nel suo intento di proteggere la bimba dalle violenze sessuali in Libia, subendole lei al suo posto. Durante il viaggio la madre della piccola si è lasciata cadere in mare ed è scomparsa.

Enana ha custodito il corpo della bambina per tutto il viaggio e, quando una nave italiana le ha salvate e portate a Lampedusa, la piccola è stata soccorsa per prima. Enana ha pianto di gioia, sapendo dai soccorsi che la bambina era ancora in vita.

Noi abbiamo scelto questo tema dato che la violenza di ogni genere, sia psichica, fisica e sessuale, è diffusa e praticata in tutti i governi instabili e nei Paesi in guerra come mezzo di disumanizzazione. E in quanto esseri umani la riteniamo una cosa spregevole e vergognosa, che non dovrebbe più verificarsi.

di Gaia Girardi, SSPG “C. Andreatta” di Pergine Valsugana (TN)

FONTI

Scuole Senza Frontiere, Limes online, Repubblica.it, Famiglia Cristiana.it e La Stampa.it